Perché gli arbitri devono fischiare di più
Saremmo curiosi di sapere se Chiesa si sia lesionato il legamento crociato nel primo impatto con Smalling, che lo ha scaraventato per terra, o qualche minuto più tardi nella torsione che, ancora dolorante, ha operato con il ginocchio, restando inchiodato sulla caviglia. E saremmo altrettanto interessati ad accertare se Insigne, trascinandosi zoppicante, e calciando un tiro in porta dopo aver sentito la prima fitta all’inguine, abbia peggiorato o no l’entità dello stiramento. In un caso e nell’altro le nostre domande resteranno senza risposta. Però Chiesa e Insigne, oltre a essere ancora le bandiere dei rispettivi club, sono anche punti fermi della Nazionale di Mancini, che tra due mesi si gioca, in uno spareggio proibitivo, l’accesso al Mondiale.
Si dirà che vincere contro la Roma o contro la Samp in campionato è, per la Juve e il Napoli, un sano egoismo, pienamente condiviso dai tifosi, e capace di accendere un campionato che resta, nell’immaginario collettivo, il sole attorno a cui tutto ruota. Però ci sia consentito di esprimere un dubbio. Qualcuno si è chiesto che cosa accadrebbe se l’Italia fosse per la seconda volta consecutiva fuori dalla più importante competizione calcistica del pianeta? Quale danno ne avrebbero i club, in termini di mancati introiti dei diritti tv, di svalutazione finanziaria del parco giocatori, di immagine?
Questo per dire che, al netto della legittima decisione delle società di chiedere il massimo ai loro atleti, un pizzico di riguardo per la Nazionale non sarebbe solo segno di solidarietà sportiva e di spirito patriottico, ma anche una strategia lungimirante per l’intero sistema calcistico.
Questa riflessione rischia di cadere inascoltata nel clima di confusione che il riacutizzarsi della pandemia ha scatenato, facendo saltare alcune partite in una stagione in cui i buchi per recuperarle sono davvero pochi. Una di queste pause giunge a fine mese, e sarà l’unica occasione per il ct di radunare quel che resta degli azzurri in vista della doppia eliminatoria con la Macedonia e con chi vincerà tra Portogallo e Turchia. È un appuntamento che chiama alla responsabilità l’intero movimento calcistico nazionale. Dai presidenti dei club, ai tecnici, ai calciatori stessi, la cui salute mai come in questo momento vale oro. E va protetta, dal Covid con la vaccinazione di massa e con una prudenza che, purtroppo, nelle vacanze natalizie è mancata. E dagli infortuni, con il diritto-dovere al riposo, anche a costo di valorizzare qualche talento della primavera.
Molto possono fare gli arbitri. Ai quali è legittimo chiedere di spezzare sul nascere il gioco violento. La dinamica sempre più prestazionale del calcio e la velocità crescente negli scambi e nei contrasti aumentano il rischio di lesioni molto gravi per gli atleti, sollecitati già da una riduzione dei tempi di recupero tra una gara e un’altra. I direttori di gara devono fischiare di più e meglio, dissuadendo i calciatori dal confondere l’agonismo con la violenza.
Li chiamano falli tattici, con un’aggettivazione molto indulgente, ma talvolta sono spietate mosse di killeraggio sportivo. La tattica è un’altra cosa, se ne convincano anche quei tecnici che li suggeriscono, o ne fanno il perno della loro strategia. Non sono furbi. Sono scarsi.