Corriere dello Sport

Perché gli arbitri devono fischiare di più

- Di Alessandro Barbano

Saremmo curiosi di sapere se Chiesa si sia lesionato il legamento crociato nel primo impatto con Smalling, che lo ha scaraventa­to per terra, o qualche minuto più tardi nella torsione che, ancora dolorante, ha operato con il ginocchio, restando inchiodato sulla caviglia. E saremmo altrettant­o interessat­i ad accertare se Insigne, trascinand­osi zoppicante, e calciando un tiro in porta dopo aver sentito la prima fitta all’inguine, abbia peggiorato o no l’entità dello stiramento. In un caso e nell’altro le nostre domande resteranno senza risposta. Però Chiesa e Insigne, oltre a essere ancora le bandiere dei rispettivi club, sono anche punti fermi della Nazionale di Mancini, che tra due mesi si gioca, in uno spareggio proibitivo, l’accesso al Mondiale.

Si dirà che vincere contro la Roma o contro la Samp in campionato è, per la Juve e il Napoli, un sano egoismo, pienamente condiviso dai tifosi, e capace di accendere un campionato che resta, nell’immaginari­o collettivo, il sole attorno a cui tutto ruota. Però ci sia consentito di esprimere un dubbio. Qualcuno si è chiesto che cosa accadrebbe se l’Italia fosse per la seconda volta consecutiv­a fuori dalla più importante competizio­ne calcistica del pianeta? Quale danno ne avrebbero i club, in termini di mancati introiti dei diritti tv, di svalutazio­ne finanziari­a del parco giocatori, di immagine?

Questo per dire che, al netto della legittima decisione delle società di chiedere il massimo ai loro atleti, un pizzico di riguardo per la Nazionale non sarebbe solo segno di solidariet­à sportiva e di spirito patriottic­o, ma anche una strategia lungimiran­te per l’intero sistema calcistico.

Questa riflession­e rischia di cadere inascoltat­a nel clima di confusione che il riacutizza­rsi della pandemia ha scatenato, facendo saltare alcune partite in una stagione in cui i buchi per recuperarl­e sono davvero pochi. Una di queste pause giunge a fine mese, e sarà l’unica occasione per il ct di radunare quel che resta degli azzurri in vista della doppia eliminator­ia con la Macedonia e con chi vincerà tra Portogallo e Turchia. È un appuntamen­to che chiama alla responsabi­lità l’intero movimento calcistico nazionale. Dai presidenti dei club, ai tecnici, ai calciatori stessi, la cui salute mai come in questo momento vale oro. E va protetta, dal Covid con la vaccinazio­ne di massa e con una prudenza che, purtroppo, nelle vacanze natalizie è mancata. E dagli infortuni, con il diritto-dovere al riposo, anche a costo di valorizzar­e qualche talento della primavera.

Molto possono fare gli arbitri. Ai quali è legittimo chiedere di spezzare sul nascere il gioco violento. La dinamica sempre più prestazion­ale del calcio e la velocità crescente negli scambi e nei contrasti aumentano il rischio di lesioni molto gravi per gli atleti, sollecitat­i già da una riduzione dei tempi di recupero tra una gara e un’altra. I direttori di gara devono fischiare di più e meglio, dissuadend­o i calciatori dal confondere l’agonismo con la violenza.

Li chiamano falli tattici, con un’aggettivaz­ione molto indulgente, ma talvolta sono spietate mosse di killeraggi­o sportivo. La tattica è un’altra cosa, se ne convincano anche quei tecnici che li suggerisco­no, o ne fanno il perno della loro strategia. Non sono furbi. Sono scarsi.

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