Ciak Lobotka la rinascita da playmaker
Spalletti convinto: «Lobo è forte Può diventare come Jorginho Quando inverte la corsa ti fa male»
Il problema, adesso, non è mettere a confronto i minuti tra un anno e l’altro, quelle sono statistiche, ma sistemare dinnanzi allo specchio lo Stanislav Lobotka di oggi e guardarlo con l’espressione di ieri. E non c’è neppure da fare ironia, sulle rotondità di quel tempo perduto, standosene adagiato dentro ad una panchina o nel vuoto pneumatico di nove mesi in cui solo per 527' c’è stato bisogno di lui (e solo quattro volte da titolare, ma esclusivamente in Europa League), ma andare a guardare oltre l’immagine riflessa, e le sue deformazioni, e proiettarsi nell’anima di un uomo che ha finalmente riscoperto se stesso. La questione è squisitamente tecnica, persino tattica, perché quasi senza averne percezione, certo senza neanche sospettarlo, il Napoli ha ritrovato un giocatore, ne ha assaporato la sua versatilità, ha scoperto una dimensione che gli era sconosciuta e che Spalletti, senza formalismi dialettici, ha sintetizzato in un'idea: «Lobo è fantastico, è forte, può diventare un calciatore tipo-Jorginho, uno che sa come prendere la squadra per mano. Rigioca dietro anche quando si può girare e andare a fare metri, perché è abituato a muovere la palla anche lateralmente. Quando inverte il senso di corsa e va oltre la linea di quelli che lo attaccano, ti spacca in due». È cambiata la condizione (anche) psicologica, perché fino a luglio, era Lobotka a sentirsi spaccato dentro, ad avvertire sensazioni di smarrimento in una squadra nella quale non c’era mai un posto per lui, né davanti alla difesa, né altrove: poi Spalletti l’ha adagiato là in mezzo, nel cuore del suo Napoli, ed ha finito per ritrovarselo leader e guida carismatica. Una evoluzione netta, uno strappo indiscutibile con il recente passato, la testimonianza di una empatia che è scattata immediatamente tra l'allenatore ed il centrocampista e che è stata decisiva per ribaltare convinizioni che parevano (quasi) scolpite nel marmo.
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DENTRO AL PROGETTO. Lobotka ne ha giocato nove in campionato, otto da titolare e in sei occasioni è stato «costretto» a restare per tutta la partita, le ha indirizzate, le ha ispirate, ha scoperto una leadership che in realtà era stata annunciata da Hamsik, in epoca non sospetta e che poi è rimasta soffocata nei suoi primi diciotto mesi, trasformatisi in incubo. Ha avvertito la fiducia, ha gradito per la propria auto-stima, ha potuto sentirsi protagonista all'interno di un progetto che invece l'aveva praticamente escluso nella sua prima parentesi napoletana.
ANALOGIE. Jorginho, a differenza di Lobotka, costò dettagli del bilancio (tre e mezzo per la prima comproprietà, altri quattro e mezzo del riscatto), ma questi sono discorsi venali. E calcisticamente, dopo una fase iniziale incoraggiante (e addirittura esaltante: titolare nel 4-2-3-1 di Benitez, protagonista nella finale di Coppa Italia a Roma vinta con la Fiorentina), finì per ritrovarsi frenato dalla sua ascesa da una fisiologica crisi d’identità. Sarri gli cambiò la vita, lo sistemò nel centrocampo a 3, lo ritrasformò in play. Lobotka ha una vocazione e una inclinazione che hanno spinto Spalletti ad affiancarlo al regista della Nazionale, a differenza di Jorginho ha inciso un po’ più sul bilancio (venti milioni per averlo) e l’accostamento del suo allenatore sa di «lusinga» per il club: al Chelsea ci vollero 64 milioni per prendersi il regista. Sarebbe un altro ciak, se la storia si ripetesse...