DJOKOVIC AL SECONDO SET
«Nonostante tutto voglio giocare gli Australian Open» ha twittato Novak. Ma l’esenzione sarebbe riservata solo a chi ha gravi impedimenti medici...
Novak Djokovic vince il primo set contro il governo australiano. Il giudice Anthony Kelly ha accolto il ricorso contro la cancellazione del visto. «Nonostante tutto quello che è successo, voglio restare e provare a giocare gli Australian Open. Rimango concentrato su questo» ha scritto su Twitter in un messaggio accompagnato da una sua fotografia a Melbourne Park (dove si è allenato a mezzanotte) insieme al suo staff, compresi il coach Goran Ivanisevic e il preparatore italiano Marco Panichi. Djokovic, che in tribunale ha vinto per un vizio di procedura, può ancora essere espulso se il ministro per l’immigrazione Alex Hawke utilizzerà il potere personale, come il Migration Act gli consente se dovesse ritenere la revoca motivata e nell’interesse pubblico.
LA SENTENZA. Il punto centrale della sentenza, arrivata al termine di un’udienza trasmessa in streaming sul canale YouTube del tribunale, riguarda la notte trascorsa in aeroporto dal numero 1 del mondo, interrogato dagli agenti dell’Australian Border Force dalle 0.21 del 6 gennaio. Alle cinque e mezza, Djokovic ha chiesto e ottenuto di sospendere il colloquio e di riprenderlo alle 8.30 del mattino, ma la decisione di chiedere la revoca del suo visto gli è stata comunicata alle 7.42. Un’azione che il giudice Kelly ha definito «irragionevole», come riconosciuto anche dai legali che hanno rappresentato il Ministero dell’Interno.
«Tutti giochiamo in base alle stesse regole - ha aggiunto il giudice Kelly illustrando la sua decisione al termine del procedimento - E la ragione per cui deve essere annullata la decisione sta proprio in questo. Detto in altri termini: quelle regole non sono state rispettate».
I TIFOSI. Subito dopo la sentenza, un nutrito gruppo della comunità serba di Melbourne si è riunito sotto le torri Rialto, i grattacieli gemelli dove ha sede lo studio legale che ha difeso Djokovic. Il sito del quotidiano australiano The Age ha pubblicato i video dell’improvvisata manifestazione. I tifosi, tenuti lontani dall’ingresso dell’edificio da un cordone di polizia dello stato di Victoria, hanno inneggiato al campione serbo. Poi al grido di «Free Novak» (liberate Novak) hanno assalito una Mercedes nera che usciva dal parcheggio. I fan, molti dei quali con bandiere e abiti con i colori della Serbia, si sono accalcati immaginando che all’interno ci fosse proprio Djokovic.
Lungo King Street, la polizia è dovuta intervenire per allontanare i tifosi dalla parte anteriore dell’auto. Gli agenti hanno anche fatto uso di spray al peperoncino per allontanare i più facinorosi in risposta a spintoni e insulti. I tifosi, probabilmente infiammati anche da voci incontrollate su un arresto di Djokovic, che si sono poi rivelate del tutto infondate, si sono scatenati anche sui social network.
IL MOMENTO CLOU. Il serbo, capace come pochi di polarizzare il pubblico, ha sempre sostenuto di aver rispettato tutte le indicazioni e obbedito alle linee guida dell’Australian Technical Advisory Group on Immunisation (ATAGI), che possiamo paragonare al nostro Comitato Tecnico-Scientifico. Il suo legale, l’avvocato Nicholas Wood, ha ripercorso in dettaglio tutte le fasi della vicenda, spiegato minuziosamente i passaggi effettuati dal serbo per compilare la richiesta di esenzione prima e la Travel Declaration poi.
«C’è un elemento che mi preoccupa - ha commentato il giudice Kelly durante l’esposizione dell’avvocato Wood - Un professore e un medico eminentemente qualificato hanno fornito un’esenzione medica. Il delegato (del Ministero dell’Interno in aeroporto; ndr) aveva in mano tale esenzione, approvata anche da un secondo panel di medici indipendenti nominati dal governo dello Stato di Victoria, e le ragioni per cui era stata concessa. Il punto che mi agita è: cos’altro avrebbe potuto fare quest’uomo?».
La risposta coinvolge l’interpretazione sostanziale delle linee guida, che dovrebbero servire a concedere l’esenzione dalla quarantena a chi non ha potuto vaccinarsi per un grave impedimento medico. Ma di questo nella sentenza non c’è traccia.
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