Pecchia: «Ho fatto un 48 per tornare in Nazionale»
«Io giovane-vecchio a 24 anni? Chiamatemi così, non mi offendo»
Andrea Pecchia domenica scorsa ha scritto un pezzetto di storia del basket di A: 28 punti (10/12 al tiro), 9 rimbalzi, 5 assist e 8 falli subiti nella vittoria della sua Cremona su Sassari con una valutazione di 48 (era dal 2017/18 che un giocatore non realizzava una prestazione cosi alta).
Pecchia lo sa che l'ultimo italiano ad avere una valutazione maggiore fu il grande Myers nel 2003 che toccò quota 49 con i colori della Virtus Roma?
«Allora posso dire a ragione di aver fatto un 48! A parte le battute, in campo non avevo percepito di star mettendo insieme dei numeri così importanti. Però in A2 avevo fatto di meglio: quando giocavo a Treviglio chiusi con un valutazione di 56. La cosa più importante è aver vinto, per la classifica ed il morale. La certezza è che al primo allenamento dovrò portare tanta roba da mangiare!»
Unbellaspesaalleporteallora,non crede?
«Potevo risparmiare magari invitando la squadra a cena, visto che la cosa che amo di più, a parte il basket e la mia ragazza Beatrice, è cucinare. Nonostante sia celiaco mi riescono molto bene i primi, senza glutine ovviamente. Pasta al forno con le polpette e pasta con fagioli e speck sono da sempre le mie specialità».
A 24 anni sembra un giovane-vecchio. E' d'accordo?
«Mi porto appresso questa definizione di grande saggio da quando ero nelle giovanili di Milano con Galbiati, il mio coach ora a Cremona. Mi piace dare consigli in campo, ragionare. Chiamatemi pure giovane-vecchio, non mi offendo»
Ha parlato del suo rapporto con Galbiati. Essere molto legato al coach non può essere un problema?
«Siamo amici, abbiamo condiviso ore ed ore in palestra. Prima l'Olimpia, poi Treviglio, ora Cremona. Io so quale è il mio ruolo, Paolo conosce benissimo il suo. Accetto rimproveri e parolacce senza problemi. Ci capiamo con uno sguardo, questo è un valore aggiunto».
Perché è diventato un giocatore di basket?
«Avevo un nonno che allenava, mio padre Maurizio e mamma Cinzia giocavano. Insomma un destino segnato. I miei genitori, virus permettendo, si mettono ancora in canotta e pantaloncini e la domenica vanno a giocare sui campetti. Io e mio fratello Davide non potevamo che prendere un pallone in mano e tirare a canestro».
Ha un giocatore a cui si ispira? «Kobe Bryant, un idolo. Guardando ad oggi, Draymond Green. E tra gli italiani Tonut: mi piace per grinta e carattere».
Ha un sogno nel cassetto?
«Sì, ma lo tengo per me, per scaramanzia. Però ho tanti obiettivi: il primo, salvarci il prima possibile. Lo devo a una società che dopo la delusione per la retrocessione della scorsa stagione a Cantù mi ha dato una grande opportunità. Qui si sta come una in famiglia, per un giocatore è importantissimo. Aveva ragione Pippo Ricci che mi ha consigliato di accettare, vista la sua esperienza con la Vanoli».
Alla Nazionale pensa?
«Certo. Ho vestito l'azzurro in passato ed è una cosa unica, di quelle da raccontare ai nipoti. Darò il massimo per mettere... in crisi coach Sacchetti. Poi, se non ce la farò, sarò un grande tifoso degli azzurri».
«Sono celiaco ma adoro cucinare i primi piatti, senza glutine ovviamente»