SPALLETTI FA LA FACCIA FEROCE
Con la Fiorentina ancora un Napoli d’emergenza E lui, senza paura, schiera Petagna e Mertens
Per raggiungere l’Atalanta ai quarti gli azzurri sacrificano gli equilibri all’aggressività Un messaggio a tutti i giocatori che sono ancora a disposizione perché sposino la filosofia di Luciano: lamentarsi è un segno di debolezza
Visto che conviene aiutarsi, affinché anche Dio t’aiuti, per evitare di piangersi addosso Luciano Spalletti ha preso il Napoli, l’ha sistemato in cima ai propri pensieri («è il mio virus») e l’ha catapultato contro il destino: avanti tutti, possibilmente con giudizio, ma comunque attraverso un’idea nuova di calcio, un po’ ribelle e un po’ rivoluzionaria, che gli appartiene da Roma o forse dagli anni del Supercorso a Coverciano, e che va sempre bene, oggi più di ieri. Mentre Victor Osimhen si è messo a contare i giorni che lo separano dal rientro (Bologna, Salernitana?) e Lozano non è più un fantasma che si è perso a Citta del Messico, in quell’emergenza che ormai è diventata la sua compagna di viaggio, Spalletti si è disegnato un Napoli a proprio immagine e somiglianza, cerebrale quanto basta e muscolare quanto serve, perché la Coppa Italia e la partita con la Fiorentina non rappresentino un rimpianto: la sorte ha deciso di intervenire, gli ha sottratto Insigne, Osimhen, Lozano, Mario Rui, Meret, Malcuit e anche Zielinski,
altri sono impegnati con le proprie Nazionali, ed allora si fa con quelli che ci sono, Petagna e Mertens per cominciare, in maniera tale da inviare un messaggio anche agli altri e s’intuisca che bisogna inventarsi gli straordinari per arrivare sino al quarto di finale con l’Atalanta.
TANDEM. Non ci sono troppe scelte, però volendo - mischiando e magari tentando di osare di meno, semmai forzando anche il rientro di Fabian che sta meglio ma non ancora bene - Spalletti potrebbe industriarsi alla ricerca di equilibri che invece verranno chiesti attaccando, lasciando che là davanti Petagna dia fondo alla propria esuberanza, per andare a sfondare centralmente o magari allargare il campo sino a spalancarlo per le incursioni di Mertens, che contro la Fiorentina (nel 2014) si è presentato al calcio italiano con un gol, il primo di una lunga serie, di sublime bellezza. Petagna e Mertens rappresentano la sintesi della filosofia di un allenatore che ha scelto di non negarsi nulla, che insegue sogni da regalare ad una città capace di entrargli dentro «immediatamente» e di conquistarlo: la Coppa Italia
- che è stata sua per due volte, che il Napoli ha conquistato nel 2012, nel 2014 e nel 2020 - è un obiettivo che si affianca all’Europa League, che sfila appena appena più dietro del campionato, che non può essere abbandonata nel vittimismo: «Lamentarsi è da sfigati».
OPS, TUANZEBE? Poi c’è poco altro da capire, in una vigilia lunga che induce a contarsi: un portiere titolare c’è, Ospina, e l’altro, il suo alter-ego, Meret, spera che stamani il tampone lo spinga a chiamare Spalletti, per chiedergli se varrà la pena mettersi in auto, andare a Castel Volturno, ed aggiungersi all’elenco dei convocati; e c’è pure la tentazione di consegnare a Tuanzebe, arrivato sei giorni fa ma già proiettato nel suo nuovo mondo nel finale con la Sampdoria, la maglietta da titolare da indossare al fianco di Rrahmani; in mezzo al campo, inutile filosofeggiare: Fabian Ruiz ha un minutaggio basso nelle gambe, poi lunedì c’è il Bologna, e dunque la coppia che mescolerà interdizione a costruzione sarà quella arrivata assieme a Napoli nel gennaio 2020: Lobotka regista, Demme sua spalla, o viceversa, se la partita lo suggerirà. E pure dalle linee in su c’è poco da fare: ma Elmas a sinistra ha dimostrato che può travestirsi - a modo suo - da Insigne, mentre Politano nel ruolo ci sta da sempre. E al resto, che pensino Mertens e Petagna: mica ci si può piegare di fronte al destino?