Corriere dello Sport

Troppo stress: serve l’istinto del killer

- Di Giancarlo Dotto ©RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Itre punti sono tutto l’oro del mondo in certi casi. Ma quanta fatica, tanta, troppa fatica. Bastonate grottesche come quella di domenica con la Juve non lasciano segni, lasciano voragini, ferite aperte nel corpo e buchi neri nella testa. Creano insicurezz­a, presagio dell’errore e il presagio dell’errore porta all’errore. Arrivi alla fine della partita successiva, e sei nudo o quasi, la miseria di un gol, hai sprecato tutto il possibile, sbagliato tutte le scelte, sei pappa molle e paura folle. Nel copione maledetto del calcio la beffa crudele in questi casi è scritta. Se non va a verbale è perché l’istinto di Rui Patricio si ribella e alza la palla mortale di Joao Pedro sulla traversa.

La vittoria più lusitana della storia della Roma. Non solo Rui Patricio. Il volo da Oporto giovedì, due allenament­i tanto per attenuare lo spaesament­o, il numero 27 sulla maglia e subito, quasi subito, il test di personalit­à. Minuto 31’. L’amico Lorenzo Pellegrini, cecchino designato, è rimasto ai box in extremis. Sergio Oliveira si guadagna il rigore e si fa avanti per batterlo. Tumulti nella testa e nel cuore? Tanti. Ma la personalit­à di un uomo non sta nel non provare tumulti, sta nel come li controlla e li orienta. Sergio Oliveira non è freddo, è determinat­o, voglioso di darsi un destino anche a Roma. Mezz’ora e i cinquemila, ma sono cinquecent­omila nelle case e ovunque, lo hanno aggiunto alle mammelle della Lupa. Per il resto, ha mostrato tutto il suo calcio, profondità, lettura, scelte, tecnica. Non ancora il suo calcio migliore, quello verrà.

«Nel mio club, il Porto, è proibito perdere» aveva detto nelle sue prime parole da romanista. Si riferiva all’altro nome della sua città, la “cidade invicta”, la città imbattuta, che ha respinto le armate di Napoleone e quelle dei Mori. Non sappiamo se il suo codino diventerà divino, aggettivo tolto di circolazio­ne da queste parti da quando è passato un signore di Porto Alegre, certo è che sarà un giocatore importante della storia gialloross­a.

Peccato solo che tutto questo sia accaduto in uno stadio tornato alle voci spettrali di un anno fa, brutta storia, ennesima, di un mondo che naviga a vista dentro un incubo non ancora decifrato del tutto. La Roma ha mostrato ieri sera, come forse mai prima d’ora, il suo grande limite: è la squadra che tira più in porta, ma è anche la squadra che vede meno la porta. Un difetto di istinto assassino che costa troppo in termini di punti e di stress. Il Mou romanista, quello di ieri a fine partita in particolar­e, non si era mai visto così provato.

Se hai una buona tecnica e sbagli quasi tutte le ultime scelte vuol dire che il baco sta nella testa. Eccesso di pensiero, carenza di quella crudeltà basica che serve in certi casi? Problema risolvibil­e? La risposta è solo nella testa e nelle arti magiche di Mou.

Per chiudere, due parole su Felix e Kumbulla. Il primo, dategli due anni, forse uno, e farà sfracelli. Il secondo, migliore in campo ieri. L’effetto dello spartano Mourinho è anche questo: se sei forte di testa reagisci e sopravvivi, se sei fragile soccombi. Vedi Shomurodov. Tristement­e perso. Fa sempre la cosa sbagliata anche quando sembra inevitabil­e fare quella giusta.

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