Ecco il Bologna Mertens accende il radar del gol
Dries non gioca dal primo minuto, ma è pronto ad aggiungere un’altra perla al suo record: 143
Succede spesso così: quando vede rosso(blu), Mertens s’infuria, diventa se stesso, si cala in quel personaggio che interpreta ormai magicamente da cinque anni, da quando scoprì, un bel giorno, d’essere un centravanti vero, mica un falso nueve, come raccontavano un po’ retoricamente in giro. E se in quattordici partite gli sono venuti naturali undici gol, allora vuol (anche) dire che dev’esserci un pregresso o semplicemente no, è proprio un’attitudine che si sviluppa in quell’ora e mezza - che sia al «Dall’Ara» o nel «Maradona» all’epoca del San Paolo - e che diventa istinto un pochino killer. E comunque, in questa storytelling sull’asse Napoli-Bologna e viceversa, tutto ebbe inizio nel maggio del 2016, Mertens stava diventando Ciro ma non era ancora una prima punta, però cosa volete che gliene importasse: lui prese il pallone e se lo portò a casa, come da copione dei triplettisti. Stava nascendo, nel suo piccolo, una leggenda, e nessuno se ne era seriamente accorto: ma quando partì Higuain e il suo erede, Milik, dovette fermarsi dolorosamente, un bagliore ispirò Sarri e la storia cambiò.
LUI E MAREK. Ma nella biografia della sua vita spericolata, un pochino attraversata marginalmente e poi rimodellata come farebbe un artista fiammingo nella sua incredibile evoluzione, Mertens (ri)scopre che Bologna diventa il crocevia della sua esistenza il 4 febbraio del 2017, quando ha ormai già trasformato in sacro ciò che sembrava potesse apparire come profano: nel Napoli che a Bologna s’era trasformato in una specie di tiranno, Hamsik stava già godendosi la propria giornata oltre la normalità ed aveva prenotato il pallone, quello che si concede con gli autografi a chi ne ha fatti tre. Ma ce ne volle un altro, proprio al minuto 90', perché lo scugnizzo ribadì la propria voracità e diede ulteriore senso ed impulso a questa carriera da cannoniere.
STRAORDINARI. A maggio, ormai, saranno trentacinque, e bisogna aver rispetto dei muscoli e della resistenza di un eterno bambino, il Peter Pan dell’area di rigore, che contro la Fiorentina, solo giovedì, ci ha dovuto infilare due ore di straordinari: in quella nottata un po’ perfida, per gradire, ci ha incastonato l’ennesima perla, ma l’età non può essere guardata con gli occhi languidi dei romantici e stasera, a Bologna, ci sta che la sua partita inizi dalla panchina. Ma un’ora e mezza è lunghissima, è pure piena di ricordi, di sensazioni che gli appartengono, d’un passato che ricorre: e il turnover, a serata in corsa rientra tra le strategie del calcio moderno, a cui Spalletti fa riferimento. È un’ipotesi, appartiene all’esigenza d’evitare i pericoli dell’acido lattico e di eventuali impedimenti muscolari: e il part-time, nel 2021, non sa di affronto ma di necessità a cui aggrapparsi, per durare e resistere.
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DA RECORD A RECORD.
Nove anni rappresentano, nella carriera d’un calciatore, (quasi) una carriera intera: Mertens li ha spesi in una città che è diventata sua, l’ha illuminata con 143 reti, l’ha riempita con 279 presenze in campionato e 379 in assoluto, l’ha gonfiata di primati che sono stati necessari per far adagiare alle proprie spalle prima Maradona e poi Hamsik, per trasformarsi in un re con tanto di corona, magari anche per ipotecare un po’ del proprio futuro, da trascorrere - se fosse ancora possibile - a Palazzo Donn’Anna, per svegliarsi e sentire l’eco delle onde, per dirsi che c’è ancora e anche Bologna nel proprio calcio.