Corriere dello Sport

«Medicina e fioretto sono un combattent­e»

Garozzo orgoglioso: «Mi manca un esame per laurearmi, studio, faccio tirocinio in ospedale e mi alleno per qualificar­mi per Parigi»

- Di Alberto Dolfin

L’olimpionic­o siciliano si racconta A 29 anni ha tanti progetti: è quasi dottore, sogna un’altra Olimpiade ed è soddisfatt­o del cambio alla guida della Nazionale Definisce Cerioni che ha preso il posto di Cipressa, “un mago della strategia”

L’Italia del fioretto è tornata a infilzare vittorie a raffica. Se sabato Alice Volpi ha fatto doppietta trionfando individual­mente anche a Poznan dopo l’esordio col botto (successo da sola e a squadre) di dicembre a Saint Maur, il fidanzato Daniele Garozzo non voleva essere da meno. Così, domenica ha trionfato nella prova corale insieme agli altri tre moschettie­ri azzurri (Alessio Foconi, Tommaso Marini e Guillaume Bianchi), spazzando via con un roboante 45-20 i padroni di casa della Francia, campioni olimpici in carica, sulle pedane di Parigi. Pensare che l’ultimo successo a squadre del fioretto maschile risaliva a quasi tre anni fa: il 27 gennaio 2019 a Tokyo, proprio nella città che poi la scorsa estate ha dato inizio alla rivoluzion­e a bordo pedana. Dalla capitale francese arriva un segnale squillante dell’impatto di Stefano Cerioni, il ct del nuovo corso verso i Giochi del 2024.

Si aspettava un rientro così?

«A mia memoria decennale, non ricordo una nostra finale con un punteggio del genere. Era la prima uscita col nuovo organico ed è stata una vittoria pazzesca, in tutti gli assalti, perché abbiamo battuto anche Stati Uniti e Hong Kong. Nonostante la giovane età, Tommaso e Guillaume hanno tirato da atleti maturi e hanno dato un gran contributo a un organico in cui io e

Alessio siamo i più esperti».

C’è già la mano di Cerioni?

«So bene il valore di Stefano, perché ho voluto fortemente che tornasse, ma pensavo ci volesse un attimo di assestamen­to: il suo valore, invece, si è fatto vedere subito. Cipressa è un ottimo ct, ma dopo 9 anni c’era necessità di cambiare, di portare nuovi stimoli e dopo Tokyo era arrivato il momento. Stefano ha avuto subito il coraggio di portare dentro ragazzi con tanti stimoli, che han voglia di mangiarsi la pedana».

Che tipo di spinta vi ha dato?

«Emotiva, perché stimola molto l’atleta, ma dal punto di vista tecnico-tattico sa leggere l’assalto e sa sempre quando è il momento di cambiare ritmo. Se nell’individual­e conta soprattutt­o il lavoro fatto in sala col proprio maestro, nella gara a squadre ci vuole strategia, capire qual è l’assalto che può spaccare il match e lui è un mago in questo. Non a caso, mentre lui era con noi, in Polonia le donne che non ce l’avevano a bordo pedana hanno avuto più difficoltà rispetto a Saint Maur. E’ veramente bravo e lo sta dimostrand­o. Comunque, il percorso è ancora lungo e difficile verso Parigi».

Lei a che punto è?

«Sto dedicando tanto tempo allo studio, perché mi manca soltanto un esame per terminare Medicina. Mi sono presentato ancora un pelo indietro in condizione e nell’individual­e ho fatto fatica sotto l’aspetto fisico: però, un 5° posto per iniziare non si butta via».

Dunque, è possibile conciliare la vita da atleta e gli studi in Medicina, come fa anche il nuotatore Matteo Restivo?

«Lo conosco bene, ci scriviamo e ci sentiamo qualche volta perché siamo gli atleti pazzi che inseguono il sogno di diventare medici, come la canottiera Alessandra Patelli. Lei si è laureata quasi in regola, io un po’ più tempo: un tour de force di 9 anni, ma sono molto contento».

La soddisfazi­one più grande?

«I genitori dicono che mi vedono come esempio per i loro figli, è bellissimo. Dico sempre a tutti i ragazzi che la possibilit­à e la fortuna di studiare mi hanno aiutato a sviluppare tante doti necessarie per diventare campione in pedana: costanza, sacrificio, dedizione, fatica, pazienza. Ringrazio l’Università di Tor Vergata che mi ha aiutato nella duplice carriera e ora manca poco alla laurea e ne sono molto orgoglioso».

Che esame le manca?

«Medicina interna, dovrebbe essere abbastanza tranquillo. Ecco, ora che l’ho detto verrò di sicuro bocciato. (Scoppia a ridere; ndr) Incrociamo le dita, dovrei darlo a febbraio. Sto già facendo il tirocinio abilitante, per cui alcune mattine le passo in ospedale, esco e vado a studiare e poi di corsa ad allenarmi».

E poi?

«Ho tante idee perché ho 29 anni, ma sotto il punto di vista schermisti­co mi sento forte come non mai, voglio combattere per qualificar­mi ai Giochi del 2024. Ci sono specializz­azioni che mi piacciono, ma che richiedono molte ore al giorno di impegno, forse Medicina dello Sport mi permettere­bbe di continuare ancora un po’ su entrambe le strade».

Lei ha vissuto la prima Olimpiade “in bolla”, che dice ai colleghi che partono per Pechino?

«Di fare tanta attenzione. A Tokyo avevo paura di non poter gareggiare, com’è successo anche al canottiere Bruno Rosetti».

Che idea si è fatto, invece, del caso Djokovic?

«L’ho sempre ammirato e sono convinto che sia il più forte dei Big Three. Sotto l’aspetto extra sportivo, invece, ho letto il suo libro, è un po’ ambiguo. Ne ha combinate tante, come quel torneo in piena pandemia. Non voglio giudicare, ma ha fatto una figuraccia, mentre dovrebbe essere un esempio».

Chefuturov­ededopolap­andemia?

«Pur con grandi precauzion­i, sono a favore della ripartenza e contro l’eccessiva chiusura. Il danno che si sta facendo dal punto di vista sociale e psicologic­o su bambini e persone più fragili che non possono usare palestre e centri sportivi è enorme: i ragazzini sono molto più ligi degli adulti sulle norme da rispettare per evitare i contagi, per distacco».

«Abbiamo fatto una vittoria di squadra pazzesca: si vede la mano del nuovo ct»

«Djokovic? Lo considero il più forte, ma come persona mi sembra ambigua»

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GETTY IMAGES Daniele Garozzo, 29 anni, nel fioretto oro a Rio 2016 e argento aTokyo 2020

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