E ora avanti con il challenge
Un primo tabù sembra destinato a cadere. I vertici del calcio mondiale si stanno finalmente convincendo ad adottare il tempo effettivo, così come avviene in moltissimi sport. È una misura giusta, doverosa e tardiva, che il Corriere dello Sport - Stadio in questi ultimi anni ha invocato con forza. Non solo perché la durata del gioco in alcune partite non arriva a cinquanta minuti. Ma perché la perdita di tempo strategica è diventata un modo antisportivo per difendere il risultato, vanificando talvolta anche il recupero accordato dall’arbitro. Il tempo effettivo sarebbe perciò, oltre che un incentivo allo spettacolo, anche un modo per riconciliare il calcio con il principio di lealtà sportiva.
Il tempo effettivo sarebbe il primo passo di un processo riformatore che richiederebbe però ben altre misure, e tra queste il challenge, cioè la facoltà accordata a ciascun allenatore di pretendere che, in un numero limitato di casi per tempo, l’arbitro verifichi di persona gli episodi dubbi al Var. Sarebbe il modo di superare l’inaccettabile scaricabarile tra direttore di gara e responsabile del Var, consegnando al primo, in quanto dominus della gara, la responsabilità di conciliare la percezione diretta dei sensi con il contributo dell’occhio elettronico.
Il Var a chiamata sarebbe un ulteriore incentivo alla lealtà sportiva, scoraggiando l’inguardabile spettacolo di cascatori che affollano di questi tempi l’area di rigore. Chi infatti inscenasse una finta caduta, danneggerebbe solo la propria squadra, anche nell’ipotesi che riuscisse a ingannare l’arbitro ottenendo il rigore, poiché sarebbe riservato alla squadra avversaria il diritto di pretendere la verifica della moviola.
Purtroppo il challenge non raccoglie all’interno del board detentore della potestà regolatoria particolari consensi. Perciò accontentiamoci del tempo effettivo, nella speranza che da cosa nasca cosa. al.bar.