Non siamo più un Paese Mondiale
Per avere un arbitro in Qatar rinviata la pensione a Orsato
Non siamo più un paese da Mondiale. Nazionale a parte, ormai da un decennio non siamo più in grado di crescere arbitri capaci di arrivare nel Gotha del calcio internazionale. Una debacle totale, se pensate che abbiamo rischiato di non avere un nostro rappresentante in campo in Qatar. Per avercelo, abbiamo allungato l’età pensionabile a Daniele Orsato, con le (mille) proroghe e il cambio di normativa, per evitare che il limite si fermasse a 45 anni. L’alternativa era Davide Massa (l’arbitro che l’ultima estate è stato invischiato nello scandalo dei rimborsi, lui sospeso per un mese e mezzo e subito dopo promosso Élite dell’Uefa... mah), predestinato ma in realtà caduto sotto il peso di questa responsabilità e di una qualità decisamente inferiore. Se pensate che vent’anni fa, il Mondiale del 2002 in Giappone e Corea vide protagonista l’inarrivabile Pierluigi Collina, secondo arbitro italiano a dirigere l’ultimo atto (il primo era stato un totem comeSergio Gonella nel 1978 in Argentina). E che appena otto anni fa, nel 2014 in Brasile, la finale fu diretta da Nicola Rizzoli (per questo sulle casacche degli arbitri abbiamo tre stelle, le nostre tre... vittorie, arbitralmente parlando). Sembra passato un secolo. Sic transit gloria mundi...
E’ il risultato di decenni di immobilismo, quando con l’era Nicchi si pensava più alla politica che alle qualità tecniche. Un problema che non sembra essere risolto, neanche dopo le elezioni del 14 febbraio 2021, visto che la mania di moltiplicare pani e consensi continua ad albergare nelle segrete (neanche troppo) stanze di via
CONFUSIONE.
Campania. Chiaro, impossibile risanare tutto in un anno, ma l’orizzonte futuro sembra nebuloso peggio di prima. E così è crollato anche il piano-Rocchi, che aveva iniziato la stagione con un obiettivo ricevuto dalle mani di Gravina, che lo aveva “benedetto”: non guardare in faccia a nessuno, andare dritto per la sua strada, lasciare che finalmente emergessero le qualità tecniche piuttosto che il bacino elettivo di provenienza. Durato poco. Perché - nonostante una pace di facciata sbandierata all’ultima adunata, «perfettamente d’accordo tecnicamente e politicamente» - i rapporti fra il designatore e i vertici dell’AIA non sono mai stati idilliaci. Con diverse frizioni, per le ingerenze della CON (la Commissione Osservatori Nazionali, un flop clamoroso a detta degli stessi appartenenti) nelle valutazioni degli arbitri e per la linea arbitrale da tenere. Nel momento in cui il “duri e puri” di Rocchi ha cominciato a vacillare per le pressioni dall’alto, ecco che la confusione ha cominciato a regnare sovrana nel gruppo degli arbitri di vertice. Un esempio? Juve-Inter li somma tutti: non dovevano esserci più rigorini, tanto che non si fischiavano più neanche i rigori normali, ma poi il mezzo step on foot di Morata su Dumfriues non solo è diventato rigore ma è arrivato anche dopo un intervento del VAR. Che avrebbe dovuto limitare i suoi interventi, ed invece allo Stadium ha tirato fuori dal cilindro la pezza peggiore per giustificare la ripetizione del rigore dell’Inter. Che non doveva essere ripetuto (fallo di Çalhanoglu su Danilo, l’encroachment di De Ligt è successivo), oppure doveva essere lasciato il gol (con la decisioni di Irrati-Mazzoleni, si è data un’altra chance alla Juve, che invece era la squadra che aveva commesso l’infrazione). Poveri noi...