Il basket piange Skansi
L’intero mondo del basket piange la scomparsa di Petar Skansi. A 78 anni se ne è andato uno dei personaggi sportivi più amati di tutta la Croazia (era nato a Sumartin il 23 novembre 1943), ma conosciutissimo e rispettato, prima come giocatore e poi soprattutto come coach, anche in Italia.
Se si vuole puntare i riflettori sulla sua lunga e vincente carriera, bisogna farlo cercando un anno in particolare: il 1992. Prima dell’estate Pero, alla sua seconda avventura alla guida di Treviso, dopo una travagliata stagione a causa dell’infortunio che tenne fermo per due mesi la superstar Kukoc, era approdato ai playoff italiani. E lì aveva trionfato, battendo in finale quella Pesaro la cui maglia aveva indossato da giocatore nel 1972-73. Ottenuto
lo scudetto, Skansi, alto, bello, dal carattere duro, ricevette una telefonata dalla sua Croazia: la Jugoslavia, per la quale aveva giocato ottenendo l’argento ai Giochi del 1968, si era vaporizzata, e la neonata federazione croata aveva deciso che solo lui poteva guidare la nazionale per tentare un’impresa che sembrava impossibile: qualificarsi per le Olimpiadi di Barcellona. Ci riuscì, in Spagna continuò ad avanzare sino a cogliere un risultato a dir poco incredibile: entrare in finale contro gli Usa di Jordan, Bird e fenomeni vari. Gli americani vinsero 117-85, ma il miracolo sportivo della Croazia di Petrovic, Kukoc e Radja, poi diventati protagonisti nella NBA, rese Pero una leggenda che neppure l’Italia ha mai dimenticato: ha guidato da allenatore Pesaro, Fabriano, Venezia, Roma, Treviso, Fortitudo, chiudendo la carriera nel 2004 con il Krka Novo Mesto. «Oggi un tecnico deve saper gestire e assorbire gli attacchi e le critiche che piovono da tutte le direzioni diceva pochi mesi fa in un’intervista - se i risultati non sono all’altezza delle aspettative. Se ti fai condizionare delle critiche, questo mestiere non fa per te»