«Non vinco per me ma per gli altri»
Un colloquio in Vaticano svela l’umanità dello Special
Mou: «Prima pensavo solo alla mia gloria Odio lo spreco del talento E parlo con Lui»
Un’illuminante visita in Vaticano, una profonda chiacchierata con José Tolentino de Mendonça, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa. Da José a José, in lingua portoghese. Mourinho è apparso emozionato durante il colloquio che ieri è stato pubblicato dall’Osservatore Romano e che ha affrontato l’aspetto umano dello sport professionistico: «Lo sport di alto rendimento, in particolare il calcio, che è lo sport più industrializzato a tutti i livelli, ha qualcosa di crudele racconta Mourinho - L’errore si paga. Se commetto un errore, lo pago con l’esonero. Se un giocatore commette un errore, lo paga non giocando a beneficio di un altro. Per me è fondamentale creare un’empatia con i calciatori: essendo più maturo di loro cerco di capire che ogni persona è diversa dall’altra. Una cosa difficile per me da accettare è lo spreco del talento, è una cosa che ancora oggi dopo 30 anni di calcio, è difficile per me da accettare. A volte, però, lo spreco di talento è legato al percorso di vita che alcuni giocatori hanno avuto».
IL DONO DI VINCERE. Da allenatore ormai affermato, Mourinho si sente un uomo migliore: «Dei 59 anni non mi piacciono i dolorini fisici... Per il resto sono felice delle esperienze che ho fatto, anche quelle meno buone. Per molti anni ho voluto vincere per me stesso, mentre adesso sono in un momento in cui continuo a voler vincere con la stessa intensità di prima o addirittura maggiore, ma non più per me: per i giocatori che non hanno mai vinto, voglio aiutarli... Penso molto di più al tifoso comune che sorride perché la sua squadra ha vinto, alla sua settimana che sarà migliore perché la sua squadra ha vinto».
LA FEDE. Ovviamente il tema religioso diventa presto prevalente durante il colloquio. Mourinho confessa: «La cosa che più mi mancherà quando smetterò di allenare, evento che spero non arrivi presto, è il percorso che faccio andando allo stadio. Perché cammino verso la partita e parlo con Lui. Così finisco sempre per dire: la mia famiglia è più importante di tutto questo, dammi un aiuto se hai tempo. La mia relazione con Lui è umile ma intima, mi piace dargli quasi del Tu». La spiritualità lo supporta anche nello spogliatoio: «Non entro nel campo della religione, perché ho davanti a me 25 uomini con tradizioni e culture diverse. Ma io parlo alla squadra del segno +, quello che può fare la differenza, un convincimento comune. Il plus viene sempre da quell’area che non si tocca, che è astratta, ma si sente. Non basta l’allenamento per preparare una competizione che ti sottopone a grandi pressioni. Quando vivi un momento chiave devi scavare nel tuo profondo». Mourinho svela anche la sua devozione per la Madonna di Fatima: «Essendo una persona conosciuta, io attiro l’attenzione che in quel momento mi turba. Per questo preferisco visitarla di notte, come di notte mi capita ora di andare a San Pietro, aiutandomi con l’oscurità e la mascherina...».
LA GUERRA. Tolentino gli ha chiesto anche di commentare le atrocità che stanno avvenendo in Ucraina. Mourinho non si sottrae: «Il Santo Padre Francesco dice che la guerra è un fallimento dell’umanità, dei politici. La penso esattamente così, anzi, penso che sia un fallimento umano prima ancora
che politico. È un fallimento brutale, è la perdita dei principi o il loro mancato sviluppo, è l’evoluzione del pensiero umano verso la direzione errata, è un fallimento nostro». Il Papa è spesso un’ispirazione per l’allenatore: «Riesco a guardarlo e, senza aver avuto l’onore di conoscerlo, non mi stanco di ascoltarlo. Mi rivedo nella sua semplicità. Quest’uomo non è il Papa, ma è un padre. Potrebbe essere un parroco di Setubal e lo ammirerei allo stesso modo. Mi colpisce come riesca a creare empatia anche con persone di religioni diverse».
«Il calcio è crudele Per vincere non basta allenarsi, serve spiritualità»