Fragole, file, ombrelli Londra non rinuncia al suo rito
Il torneo è tornato anche con tutte le sue tradizioni
La prima interruzione per pioggia, nella giornata d’esordio, ha certificato il ritorno alla normalità dei Championships con il Covid che oggi sembra riguardare più i giocatori che gli appassionati. Dopo due edizioni travagliate a causa della pandemia, Wimbledon ha subito ritrovato consuetudini immutabili, che rendono il torneo londinese unico e inimitabile.
Anche nei suoi disagi che qui si tramutano miracolosamente in tratti identitari. Come appunto la pioggerella mattutina che lunedì ha sospeso per qualche ora i match. Innescando il solito rituale: le corse dei raccattapalle, i teloni verdi distesi sui campi, l’attesa paziente, quasi gioiosa, per la ripresa del gioco. Uno degli ingredienti principali, quella composta sospensione del tempo, di quella che qui chiamano l’esperienza Wimbledon. Che persino trascende il prestigioso evento sportivo per diventare storia, cultura, tradizione. Rinnovandosi con intatto fascino da un secolo, fin dal trasloco in Church Road. In quell’elegante sobborgo a sud di Londra, tornato ad accogliere gli appassionati dei gesti bianchi. Un’enclave esclusiva, di verde e viola colorata, dove si ritrovano maniere e sguardi della Old England.
Se nel 2020 i Championships erano stati annullati per via dell’emergenza pandemica, ma senza contraccolpi economici grazie ad una provvidenziale non meno che lungimirante polizza assicurativa milionaria, l’edizione dello scorso anno era stata caratterizzata da restrizioni, a cominciare dalla capienza limitata al 50%. E poi l’obbligo per gli spettatori del Green Pass, i biglietti solo digitali, e il divieto di campeggio fuori dai cancelli.
Un’altra abitudine del torneo, la queue, la fila. Tornata quest’anno ancora più festosa e colorata di sempre. In centinaia, da ogni angolo del pianeta, hanno campeggiato anche per giorni sul prato di fronte all’All England Club, per assicurarsi uno dei pochi tagliandi in vendita giornalmente.
Perché Wimbledon, subissato di richieste da tutto il mondo, assegna la maggior parte dei 42mila biglietti disponibili per ogni giornata del torneo tramite estrazione. E solo una piccola parte di essi viene venduta in biglietteria. Per concedere davvero a tutti - o almeno a chi è disposto al sacrificio di una notte all’addiaccio - di vivere i Championships.
Immancabile presenza, Maggie Wright, una arzilla 71enne, ex medico di base, che da 60 anni esatti non ha mancato una volta
la queue. Uno dei simboli più riconoscibili di questo torneo, ricchissimo di una sua specifica iconografia: dalle fragole con la panna - sei per vaschetta, non una di più - al Pimm’s, un liquore a base di gin con frutta, dai cappelli di paglia alla Henman Hill, oggi ribattezzata Murrayfield (in onore del campione scozzese), la collinetta del tifo più caldo, dei picnic familiari, della febbrile eccitazione al cospetto di ogni inquadratura.
Un festoso happening, con il tennis in sottofondo, che ricomincia ogni giorno, dalle 10 di mattina, quando aprono i cancelli. Dopo l’attenta ispezione compiuta da Rufus, la poiana di Harris –
mascotte dell’All England Club incaricata di tenere lontano dal nobile circolo piccioni e volpi. Ma un’altra caratteristica di Wimbledon è la sua capacità di restare sempre al passo coi tempi, senza però snaturarsi. Così passano persino inosservati i numerosi agenti di Scotland Yard, che pattugliano ogni angolo del club, per scongiurare attacchi terroristici. Mentre tra le novità di quest’anno, oltre alla scelta dell’organizzazione di far giocare anche la prima domenica (una prima assoluta), c’è l’introduzione di bagni gender-neutral: chissà cosa ne avrebbero pensato i fondatori dell’All England Club.