Corriere dello Sport

Fuori dalla Borsa un nuovo futuro più luminoso

- Di Alessandro F. Giudice

Al secondo tentativo, Friedkin ha raggiunto il risultato. L’OPA lanciata un mese fa si è chiusa superando la soglia critica del 95% che consente di acquistare le azioni residue e lasciare Piazza Affari. L’avventura gialloross­a sul listino azionario non si è rivelata un successo: le azioni furono collocate nel maggio 2000 (era Sensi) a 5,50 euro ma avevano già perso il 78% del loro valore, appena un anno e mezzo dopo, nonostante lo scudetto conquistat­o. Negli ultimi anni la presenza dell’AS Roma in borsa era diventata per volume scambiato, flottante e significat­ività dei prezzi - pressoché simbolica. Pare in generale tramontata l’era delle quotazioni nel mondo del calcio che sembrava, sul finire degli anni ’90, la nuova terra promessa della finanza pallonara. In Italia restano quotate Juve e Lazio mentre all’estero resistono Ajax, Borussia Dortmund, Porto, Lione, Manchester United, Besiktas e pochi altri. Non si segnalano progetti di quotazione, a dimostrazi­one che gli affari si concludono ormai tra contraenti privati.

La differenza tra una public company (cioè quotata su un listino pubblico) e una privata consiste nella possibilit­à per gli azionisti della prima di comprare e vendere azioni istantanea­mente, su un listino dove il prezzo si forma in base a domanda e offerta del momento. In una società privata, invece, lo scambio delle azioni può concluders­i solo se compratore e venditore si incontrano, trattano, si accordano sul prezzo.

La scelta di quotare una società può risultare funzionale ai bisogni di proprietà che vogliono monetizzar­e valori inespressi, raccoglier­e i frutti di uno sviluppo dell’azienda che il mercato può riconoscer­e e dunque pagare. Oppure una società può decidere di finanziare piani di crescita ambiziosi, allargando la platea degli azionisti al pubblico mercato, raggiungen­do così un bacino di capitali che il socio di controllo non può portare da solo. Difficilme­nte queste condizioni si verificano nell’industria del calcio.

La quotazione comporta la necessità di interagire anche coi piccoli investitor­i, obbligando la società a una trasparenz­a informativ­a non richiesta alle società private. L’esigenza di tutela del pubblico risparmio sottopone le quotate al controllo degli organismi di vigilanza (in Italia la Consob) e al rispetto di vincoli e procedure.

Più in generale, una società quotata si regge su un patto non scritto tra management e azionisti: a corrispett­ivo dell’investimen­to richiesto a questi ultimi, il gruppo di controllo (e il management che esso sceglie) devono assicurare all’investimen­to un rendimento coerente col rischio assunto. Ciò significa che l’azienda deve seguire un piano che la porti a generare utili nel tempo. Il prezzo di borsa riflette le aspettativ­e di utili futuri, nel calcio piuttosto aleatori. Ecco perché un club si presta poco alla quotazione: molti sono in perdita ed è giusto che gli azionisti di controllo sostengano gli sforzi necessari al risanament­o economico. l’AS Roma non fa eccezione a questa regola.

Con l’uscita dalla Borsa risparmier­à un po’ di costi, oggi necessari per adempiment­i e obblighi richiesti dallo status di quotata, ma acquisterà soprattutt­o snellezza operativa nelle decisioni e capacità di finanziare il club con più flessibili­tà e meno vincoli.

I Friedkin potranno dedicarsi più liberament­e al piano di risanament­o e agli investimen­ti necessari per rendere la Roma un veicolo appetibile per altri investitor­i: lo stadio è una tappa fondamenta­le di questo percorso così come l’innalzamen­to del profilo tecnico del club e la sua stabilizza­zione nel gruppo di candidate alla Champions. Le mosse di mercato sembrano orientate a questi obiettivi che l’entusiasmo della piazza rende oggi realistici. L’arrivo di Mourinho ha elevato il profilo internazio­nale del team, che ha infatti conquistat­o un trofeo europeo. L’annuncio di Dybala può essere un altro passo in questa direzione.

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