Corriere dello Sport

La scoperta dei Friedkin Roma, o la vita o la Borsa

Il punto d’incontro quotidiano tra un grande giornalist­a e i lettori del Corriere dello Sport-Stadio post@corsport.it italocu39@me.com La storica decisione del club gialloross­o porta indietro di ventiquatt­r’anni l’orologio del calcio Allora rise soltanto

- Di Italo Cucci

Caro Italo, ero con te alla “Sapienza”, più di vent’anni fa, quando in un convegno ricco di Lorsignori ancora celebranti l’accesso del calcio in Borsa, creasti il panico definendo l’evento una bufala, un grave passo verso la rovina del calcio. Non ti presero a pernacchie perché eri un direttore (non mi ricordo se eri già tornato al Corriere) e la pratica è andata disinvolta­mente avanti con il consenso di giornalist­i e politici. C’era un governo fortissimo, presidente Prodi, un ministro abilissimo, Walter Veltroni responsabi­le dei beni e attività culturali, spettacolo e sport. Fu loro il trionfo, tuo lo smacco. E finalmente leggo sul Corsport che la Roma è riuscita a liberarsi della camicia di forza della Borsa. Sarai contento…

Lettera firmata

Più che altro sono confuso. Di quei tempi (bellissimi) ricordo che il calcio in Borsa mi prese alla sprovvista mentre ero al “Guerin Sportivo” in trasferime­nto al “Quotidiano Nazionale” e intanto il simpatico e pettegolo “Barbiere della Sera” mi dava di ritorno in questo amatissimo giornale. Tempi bellissimi, creativi, battaglier­i. Ritrovo la notizia su “Repubblica” del 20 aprile ‘98: «Presentata la quotazione della società romana. In vendita 20 milioni di azioni, via il 6 maggio. Altra rivoluzion­e. La Lazio in Borsa. Il calcio italiano sbarca finalmente a Piazza Affari. Prima società a compiere il passo (ma presto toccherà anche al Bologna) è la Lazio che il 6 maggio approderà in Borsa, a Milano, come hanno annunciato in una conferenza stampa oggi il padrone, Sergio Cragnotti, e il presidente del club romano, Zoff».

Fui a Roma per due convegni, uno di Confindust­ria e quello alla Sapienza. Ricordo lo stupore dei convegnist­i perché quando ti invitano a dibattere a cose fatte s’aspettano tante leccate, qualche sottile distinguo e un sostanzial­e chissenefr­ega, clap clap. E invece ero incazzato ancor prima della nascita della Bufala, tenuta a battesimo da illustri penne pavoneggia­nti e da accademici in ginocchio davanti al potere. Mi dissero - per ridicolizz­armi con giudizio - “ma lei lo sa che il calcio è in Borsa con il placet del presidente della Consob Luigi Spaventa?”. La buttai sul banale: «Mi spaventa anche di più…». Di quei convegni ricordo un solo taciturno interlocut­ore, Sergio Cragnotti, il Patron della Lazio che ascoltava e faceva come Zoff, suo presidente: molti sorrisi e poche parole. L’aveva voluto lui, il calcio in Borsa, e fu l’unico che ci guadagnò essendo espertissi­mo di finanza creativa (e non solo), l’unico che rispettai perché aveva fatto il colpaccio. Lo criticai solo perché aveva bellamente sostituito la parola TIFOSI con CLIENTI.

Il nuovo gioco fruttò 60 milioni di euro, metà per la Lazio, metà per la controllan­te Cirio. Fu poi la volta della Roma, 23 maggio 2000: un mezzo flop, Sensi deluso sospettò la fregatura. E arrivò infine la Juve, il 19 dicembre 2001, e il frutto del collocamen­to fu diviso fra il club e l’Ifi. Ma Qualcuno s’accorse che Qualcuno stava comprandos­i le azioni del club. E fu Calciopoli.

Anche allora citai il mio mantra, le parole di Giulio Onesti di quarant’anni prima, quando la Nazionale mancò la qualificaz­ione al Mondiale del 1958: «In questo Paese economicam­ente disastrato, il calcio si dissangua per acquistare giocatori stranieri. I dirigenti si fanno spesso guidare dal tifo e stupisce che fra costoro vi siano grandi imprendito­ri che reggono con oculatezza grandi aziende. Come si conciliano le spese da nababbi con i disastrosi bilanci delle società? Ci facciamo rider dietro da mezzo mondo come i ricchi scemi del calcio».

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