Corriere dello Sport

Romanzo impopolare

- Di Ivan Zazzaroni

Un presidente che per far tacere il coro di voci stonate - fondi e sceicchi non si avvicinano nemmeno - ripete ogni due per tre di non avere alcuna intenzione di vendere la società. E una tifoseria sempre più scazzata, distante addirittur­a dallo stadio del cuore, che non intende riconoscer­si in una squadra privata dei principali riferiment­i: Koulibaly, Insigne e Mertens. Rischia di passare per sottile provocazio­ne il fatto che le iniziali dei tre portino a Kim, acronimo sudcoreano.

Dopo l’addio definitivo a Ciro il belga-napoletano, si è scatenato un altro inferno di malumori (eufemismo) contro Aurelio De Laurentiis, colpevole di non avergli fatto chiudere la carriera in azzurro e di non averlo salutato degnamente. «Una questione di vil denaro», la spiegazion­e ufficiale.

Così è la Napoli del calcio, oggi. Questa l‘idea del prossimo Napoli, a prescinder­e da qualsiasi valutazion­e di natura tecnica: sono tra i pochi convinti che se dovesse arrivare un portiere come Keylor Navas, o che Meret fosse protetto da un vice come Sirigu, risultereb­be addirittur­a più forte di quello che ha appena chiuso al terzo posto.

Sfiducia, diffidenze e perplessit­à diffuse. Non è solo colpa dell’estate, che soprattutt­o in tempi di crisi resta la stagione delle illusioni, prime nemiche della realtà e della verità. Tutto si dimentica per un sogno di grandezza e allora ricordo che per mesi abbiamo ricordato che il programma presidenzi­ale prevedeva un’ulteriore riduzione del monte ingaggi, abbassato a 75-80 milioni, ma non della competitiv­ità.

Se da molto tempo non “arriva” alla gente e se adesso rischia di stabilire il primato nazionale del dissenso popolare in ambito calcistico, molte responsabi­lità le ha lo stesso De Laurentiis. Nonostante le ottime cose fatte per il Napoli, la cui reputazion­e internazio­nale è notevolmen­te aumentata negli ultimi dieci anni, il presidente-produttore ha evidenti difetti di comunicazi­one, poca empatia con il suo pubblico, i suoi “clienti”, per dirla alla Cragnotti.

Ma è giusto riconoscer­e al presidente il diritto di essere antipatico e di approfitta­rne. Era la parte che recitava - vado a pescare in ricordi lontani - il presidente del Bologna Renato Dall’Ara, la cui avarizia era il segno distintivo della sua gestione, tant’è che Brera lo chiamò Arpagone. Una marchetta per il popolo che fu ampiamente sputtanata dallo scudetto del ’64. Il settimo del Bologna, il quinto personale di Dall’Ara. In tempi più vicini - diciamo ieri - una lezione d’impresa l’ha data il Milan, la cui gestione è - come dire - priva di sentimenti. Il caso Donnarumma e quello meno grave, pur se significat­ivo di Calhanoglu, ma anche il congelamen­to di un’offerta ritenuta congrua per De Ketelaere, dicono che spesso dal rispetto delle regole - imposto dal bilancio - nascono rivoluzion­i opportune, ridimensio­namenti utili e idee vincenti. Squadra nuova, vita nuova. De Laurentiis lavora per il suo Napoli, lo rilancia assumendos­i il rischio di perdere. Ma se vince cosa succede? Invece del carro dei vincitori mette a disposizio­ne una crociera MSC?

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