MARIO RUI Da guerriero a maestro grazie a Spalletti
Il portoghese ha iniziato bene in campionato e in Champions gettando alle spalle anche critiche feroci Nello spogliatoio del Napoli ha un ruolo importante: voce grinta e consigli Titolare in sette gare su nove sulla fascia sinistra nonostante l’arrivo di
Il partito degli eletti
Da reietto a idolo è un attimo: è il rumore sordo d’un tuffo prodigioso; è una parabola che sa di miele; è il ticchettio nel tiki-taka che scandisce un tempo nuovo; è il fascinoso mulinare di gambe d’un uomo che pare un ballerino. Il calcio è lo sport più popolare e pure il più divisivo e i Commissari tecnici o gli allenatori dimenticati sul divano di casa rappresentano la maggioranza rumorosa di quest’epoca che s’avvale poi pure dei social: di fango, nel ventilatore, ce n’è ovunque e Napoli - per un po’ non s’è sottratta alla moda, ha borbottato sulla consistenza di Meret; ha brontolato sulla personalità di Mario Rui; ha ironizzato sulle rotondità di Lobotka; s’è interrogata sul valore assoluto di Anguissa; si è imposta domande, dandosi anche qualche risposta che il vento sta portando via. È il calcio, con le sue umanissime distorsioni, con la cittadinanza onoraria che si prendono i diffidenti, un partito che va oltre l’assenteismo e che trova sempre nuovi elettori. Mario Rui Silva Duarte ha trentuno anni, da cinque si veste d’azzurro, da dodici vive su una corsia - quella mancina ch’è divenuta la propria coperta di Linus: gli è capitato di avvertire spesso e (mal)volentieri il disappunto collettivo e, forse, avrà pure avuto modo di cogliere l’amarezza di chi «dal giorno in cui si ruppe Ghoulam, a sinistra s’è aperto un buco». Luciano Spalletti ha colmato quel vuoto a modo suo, affidando a Mario Rui una cattedra ad honorem, nominandolo «professore», elevandolo al rango di leader, ruolo che al portoghese viene peraltro riconosciuto dallo spogliatoio. Alex Meret, tra i talenti più puri della New Generation, ha subito «oltraggi» di ogni genere e specie - pure dal club - e ne è uscito a modo suo, non solo dimostrando che sa sempre fare (eccome) il portiere ma pure di essere in possesso di quel carattere che pareva non gli appartenesse. Un altro, al suo posto, sarebbe sparito dalla scena, mentre Meret è uscito a pugni sul passato ed eccolo là, bello come mamma l’ha fatto.
È ufficiale: Stanislav Lobotka non è un «pacco», l’aveva già detto Hamsik, e non è neppure un «grassone», perché ora c’è chi cerca in lui eventuali vaghe somiglianze con Iniesta. E Anguissa, il Carneade, ora abita nel girone degli eletti. Le quattro storie di Napoli, affiancate o sovrapposte, raccontano il calcio in sintesi e pure lo spiegano ma soprattutto diventano persino una lezione (che rimarrà lì, fino al prossimo errore): il successo non è mai definitivo; il fallimento non è mai fatale; è il coraggio di continuare che conta. Lo disse Winston Churchill, che aveva capito tutto, ma proprio tutto (...gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio).
Super Mario Rui non è un videogioco: è la storia di un uomo che a 31 anni, e dopo una sequela di colpi incassati con nonchalance da pugile, ha ricominciato a volare. Sulla fascia sinistra, certo: del Napoli e, sorpresa delle sorprese, anche della Nazionale. Il Portogallo: titolare in Nations anche sabato, nel 4-0 con la Repubblica Ceca, e soprattutto autore dell'assist del bis di Bruno Fernandes. Scene già viste, cioè ammirate più o meno una settimana fa a San Siro: con il Milan era stato lui a invitare alle nozze del gol il Cholito. Mario, insomma, è stato ancora decisivo: ci ha preso gusto, e molto, ma la sua prestazione non è altro che la conferma di una crescita continua. Di una rivincita costruita con il lavoro e la pazienza di chi ha saputo spazzare via critiche ingenerose che in certi casi sono state anche feroci, spropositate. Che carattere: un sergente di ferro. Uno che Spalletti ha individuato sin dal primo giorno della sua esperienza azzurra come uno dei personaggi di maggiore spessore della squadra e che dopo la rivoluzione d'estate è diventato un riferimento assoluto. Un leader. E poi uno che ha saputo valorizzare la concorrenza come pochi: è arrivato Olivera, giovane purosangue della Celeste, ma indovinate chi sta recitando da titolare? Già, Mario. Super.
CIAO PRONOSTICI. E allora, il ritorno di Rui. Che poi, se vogliamo, è soltanto la normalità vissuta dal 1° novembre 2017, notte di grande Champions con il City e anche di grandi dolori di un predecessore mancino tanto illustre quanto sfortunato: Ghoulam. Sì, salta il crociato del suo ginocchio destro e il meccanismo della famosa catena di sinistra con Hamsik e Insigne fa tilt. Bye bye. E via con Mario: quantificare i chilometri percorsi in questi anni fatti di un rendimento sistematico e qualche intoppo puntualmente sottolineato a dispetto delle fatiche, beh, non è mica facile. Di certo lui ha sgobbato, come un forsennato, e raramente ha respirato considerando i continui problemi di Faouzi. Al suo arrivo a Napoli, un annetto fa, Spalletti fece subito presente al club la necessità di avere un altro terzino, il famigerato terzino sinistro invocato anche dal popolo, e quando a maggio è arrivato Olivera dal Getafe la strada sembrava quasi segnata. Giocherà lui, si diceva: ha 24 anni, ha forza da vendere, è il martello dell'Uruguay. Totale: Rui titolare 7 volte su 9 tra campionato e Champions. E sempre tra i migliori.
IL SOGNO. Sia chiaro: la preparazione di Mathias è stata condizionata da un infortunio rimediato a giugno proprio con la Celeste e quando è stato chiamato a coprire la fascia, con il Liverpool e il Lecce, ha dimostrato la stoffa, la forza e la corsa di cui sopra, però dire che Mario abbia semplicemente sfruttato la circostanza sarebbe riduttivo. Sì: lui è un leader riconosciuto, uno di quelli che danno tutto - e anche di più - e sanno fare la voce grossa quando serve. «La prima persona che m'ha spiegato come comportarmi in campo e fuori è stato Mario Rui», ha svelato Kvaratskhelia. E non sorprende. Bel momento, davvero: tante partite, gli assist con il Verona e il Milan e la convocazione del Portogallo. A sorpresa: l'ultima con la Nazionale era datata 2020 e poi nulla più. Fino a sabato: richiamato, titolare a Praga e assistman. «Sono davvero orgoglioso di essere tornato anche se a causa dell'infortunio di Raphael Guerreiro. Mi spiace, gli auguro il meglio», ha detto. Il Mondiale non è più una chimera: «È un sogno, è ovvio, ma non ero in campo a pensare a me stesso. Per ora sono felice così». Umiltà. Che il ct Fernando Santos non trascura mica: «Mario ha fatto sempre parte delle liste. E poi è titolare della squadra che comanda in Italia: sta giocando molto bene». Tanto da sognare doppio: lo scudetto e il Qatar.
Riconvocato in Nazionale, ora punta a Qatar 2022 da protagonista