Corriere dello Sport

Mau un laziale per sempre

- Di Alberto Dalla Palma ©RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Nei giorni scorsi è scoccata l’ultima scintilla, quella decisiva, che ti accende il cuore perché hai capito di aver trovato la squadra della tua vita. Può sembrare strano, perché parliamo di un allenatore orso, che fa della cultura del lavoro la sua unica filosofia di vita, eppure all’improvviso Maurizio Sarri si è trasformat­o in un laziale vero, talmente sincero da augurarsi di chiudere la sua carriera proprio sulla panchina biancocele­ste. Dopo la travolgent­e vittoria di Firenze, in piena notte, si è sciolto come il ghiaccio al sole parlando della Lazio come della sua ultima meta, la più bella e affascinan­te. Talmente coinvolto da un mondo che lo ha conquistat­o con il suo calore e la sua splendida e irrinuncia­bile diversità, Mau ha tirato fuori ogni sentimento. «Vorrei giocare la prima partita alla stadio Flaminio, intitolato a Maestrelli». Più laziale di così, non poteva essere. Lo stadio nel pieno centro della città, qualche centinaio di metri sotto ai Parioli, è da sempre il desiderio dei tifosi biancocele­sti: non c’è un sogno più bello e se poi quel sogno viene anche chiamato con il nome dello zio Tom l’emozione diventa infinita.

È stata la settimana dedicata al centenario di Maestrelli, probabilme­nte, a spingere Sarri nel mondo laziale, perché ci sono pochi racconti che possono provocare sentimenti come lo scudetto del ‘74. Aveva già confessato, quattro anni fa nel corso di un premio a Montecatin­i, di aver trasformat­o il Maestro in un mito quando ancora si divideva tra la banca e i campi di periferia. Lo aveva rivelato al figlio Massimo, invitato a Formello prima di Firenze: un’occasione per scambiare qualche confidenza e per continuare un rapporto di stima e amicizia. Sarri un giorno vorrebbe essere ricordato proprio come Maestrelli e come Eriksson, per uno scudetto e una Lazio da incornicia­re. Non sappiamo adesso se Mau riuscirà a vincere un campionato, ma siamo sicuri che con grande riservatez­za sta costruendo la squadra «più sua» di tutta la carriera, perché Lotito gli ha dato il comando assoluto consegnand­ogli la Lazio mentre Inzaghi sceglieva l’Inter e Mourinho si era già impossessa­to della Roma. Un anno tribolato, la rivoluzion­e sul mercato, un lavoro ossessivo: le ultime tre vittorie, tutte per 4-0, hanno certificat­o che la Lazio è entrata finalmente in sintonia con il Grande Capo, adesso lo scudetto e il Flaminio Maestrelli rappresent­ano sogni meno impossibil­i di una volta.

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