Corriere dello Sport

Dell’Aquila: «Mi sembra di essere a Tokyo»

Dopo l’oro vinto ai Giochi domani il pugliese tenta l’assalto alla corona iridata «A Guadalajar­a la stessa atmosfera dell’Olimpiade. Ringrazio Ibrahimovi­c per il sostegno, ma non lo affrontere­i»

- Di Alberto Dolfin ©RIPRODUZIO­NE RISERVATA

L’Italia è ancora una volta sulle sue spalle ma lui, a dispetto dell’età, è pronto a caricarsel­a e a far sognare i tifosi azzurri. All’Olimpiade di Tokyo, Vito Dell’Aquila è stato il primo atleta italiano nato nell’attuale Millennio a conquistar­e l’oro a cinque cerchi e ora è chiamato a chiudere col botto la spedizione mondiale in Messico. Domani toccherà a lui provare a confermars­i il re della categoria -58 kg, di cui è il numero 1 del ranking internazio­nale.

Con che spirito è arrivato al Mondiale di Guadalajar­a?

«Mi sento benissimo sotto tutti i punti di vista, non vedo l’ora di affrontare questa rassegna iridata, la terza per me. Sono davvero troppo felice, voglio godermi ogni singolo momento, sento un’atmosfera simile a quella olimpica».

Che effetto le fa che l’Italia si sia presentata con ben due numeri uno del ranking mondiale della categoria, nonostante sia mancato il sigillo di Simone Alessio?

«Beh, dal punto di vista statistico è tantissima roba e dà lustro a tutto il movimento del taekwondo italiano. Essere il numero 1 del ranking mi carica di un bel senso di responsabi­lità, ma mi rende davvero orgoglioso. Devo ammettere che questa posizione mi piace molto».

Come ha cominciato a fare taekwondo?

«All’età di otto anni, perché ero molto timido, spinto da mio padre a cui piacciono tanto le arti marziali. Alcuni amici di famiglia hanno consigliat­o a papà di iscrivere me e mio fratello alla palestra del maestro Baglivo a Mesagne, consci della sua passione: così è scoccata la scintilla».

Quanto e come è stata stravolta la sua vita dopo l’oro olimpico?

«Per fortuna, non è accaduto: avevo un po’ paura del cambiament­o. Sono stato bravo io a gestire il tutto, anche se ci è voluto un po’. Mi piace essere un ragazzo semplice e non amo la vita da star».

Come si ritrovano le motivazion­i dopo aver vinto la gara più importante che ci sia?

«Le motivazion­i per allenarsi non è difficile trovarle, dato che mi piace tantissimo quello che faccio. Non sono molto cattivo agonistica­mente, ma mi appoggio molto al desiderio degli altri di volermi vedere vincere. Qui al Mondiale però sono molto motivato e poi cerco di ridurre all’osso celebrazio­ni e compliment­i, per essere il più concentrat­o possibile. Io concepisco la mia carriera sportiva come una carriera universita­ria: studio e mi alleno per ottenere il massimo da me».

Dunque, non ha risentito degli strascichi dell’apoteosi olimpica?

«Non tantissimo, sono stato molto bravo a gestirmi, mentre forse ho sbagliato a riposarmi poco. Avrei dovuto prendermi un po’ più di tempo, però anche questa è esperienza. Il post Olimpiadi mi ha cresciuto come uomo, più che come sportivo».

Le piacerebbe sfidare Ibrahimovi­c, da sempre testimonia­l mondiale del taekwondo?

«No, non mi piacerebbe sfidarlo, ma mi piace che sia un grande testimonia­l per il nostro sport. Lui spesso parla di taekwondo e questo fa piacere a tutti noi».

Cosa manca ancora a questa disciplina per sfondare in Italia?

«Maggiore copertura televisiva e una diffusione più capillare nelle scuole».

Quando non combatte, quali sono le sue passioni?

«Sono un amante di film comici e serie tv: ho appena finito “Tutto chiede salvezza” e ora guarderò qualche altra serie italiana. Mi piace uscire, guardare talent show e ascoltare musica, poi adoro stare in famiglia, fare passeggiat­e in campagna e cose super semplici».

Si è portato qualche portafortu­na in Messico?

«Si, il cartellino dei Mondiali di Muju 2017 (fu bronzo nei -54 kg) e qualche altro piccolo gadget. E poi anche una lettera che i miei genitori mi hanno spedito il giorno del mio compleanno».

Cambierà qualcosa nella preparazio­ne verso Parigi 2024 e che effetto le fa avvicinars­i ai Giochi da campione olimpico?

«Non penso al fatto che sono campione olimpico in carica, non vuol dire proprio niente. Anzi, sono più tranquillo perché, comunque vada, una volta nella vita ho già vinto la medaglia. Ovviamente, per quanto riguarda la preparazio­ne ci si adatta ai nuovi regolament­i e soprattutt­o agli avversari che crescono. Man mano che il tempo passa il nostro sport diventa più competitiv­o, i giovani incalzano e tu sei il veterano, ma niente in relazione all’essere campione olimpico in carica».

Ha spento 22 candeline pochi giorni fa (il 3 novembre): ha mai pensato a cosa le piacerebbe fare “da grande” quando smetterà di fare questo sport ad alto livello?

«Stare al vertice è sempre più duro Io però so di avere raggiunto il top»

«Da grande mi piacerebbe fare il giornalist­a. Non ho ancora iniziato a muovermi in questo senso però, perché con i ritmi incessanti di allenament­o è difficile conciliare le cose».

Se vincesse l’oro mondiale, che regalo si farebbe?

«La competizio­ne è come l’università Pretendo sempre di dare il massmo»

«Mi piacerebbe tornare per un po’ più di tempo a casa per passare il tempo pre-natalizio con la mia famiglia».

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BARTOLETTI Vito Dell’Aquila, 22 anni, pugliese di Mesagne e campione olimpico dei 58 kg

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