Corriere dello Sport

«Vi portiamo a casa le stelle E persino un sorriso»

La prima donna a dirigere Rai Sport: un anno in carica e ora la prova più difficile De Stefano: «Spiace per l’Italia, ma il Mondiale è servizio pubblico Polemiche sterili: raccontere­mo tutto, puntiamo sulla leggerezza»

- Di Marco Evangelist­i

Alessandra De Stefano, lei è direttore, direttora o direttrice di Rai Sport? «Direttore va benissimo. Figuriamoc­i se m’interessan­o queste cose».

A qualcuno interessan­o ed è giusto chiedere. In fondo, lei è la prima donna a occupare quel posto. Ma capiamo che sia concentrat­a su altro.

«Quando seguivo il ciclismo, non c’erano ragazze al traguardo delle corse. Ora è pieno. La storia va avanti. Spero soltanto che il secondo anno di direzione non somigli al primo».

Compiuto proprio due giorni fa. Perché non le è piaciuto?

«Dire un no è faticosiss­imo. Tutti la prendono sul personale. Dici no e diventi cattivo. Pazienza. È difficile accettare il cambiament­o e pure il tentativo del cambiament­o».

Che cosa andava cambiato a Rai Sport?

«Abbiamo pochissimi giovani. I giovani creano mentalità e voglia di fare. Poi ci sono gli eterni giovani come Donatella Scarnati, che va fermata altrimenti va di persona alle conferenze stampa. Inoltre abbiamo un problema di risorse, di proposte, di identità».

La Rai paga anche l’immagine istituzion­ale che si porta dietro.

«Dobbiamo trattare certi argomenti, ma perché considerar­li un peso? La cultura è bellissima. Tutto dipende dal tocco. È come nel calcio. Un tocco di palla leggero non è un tocco di palla sbagliato, anzi, può cambiare la partita».

Eccoci arrivati al calcio. Adesso ha da gestire questo giocattoli­no del Mondiale, costato 180 milioni più la spedizione.

«Per la precisione 174 milioni. La spedizione è di diciotto colleghi, tra cui quattro donne. E in tutto mandiamo meno di ottanta persone. Quando produci una prima serata non è che bastino Antinelli, Adani, Rimedio e Di Gennaro. C’è dietro un lavoro enorme. Dobbiamo commentare 64 partite con quattro telecronis­ti».

E perché l’utente medio dovrebbe

vedere 64 partite in cui non c’è mai l’Italia?

«Per il semplice fatto che in Qatar avremo il calcio migliore del mondo. Se è così, non t’interessa quale Paese te lo sta offrendo. Solo lì puoi vedere, che so, Argentina-Brasile 4-3 e quelle tattiche, quei movimenti, quel gioco bello. Chiaro, senza l’Italia siamo tutti più tristi. Avremo Roberto Mancini ospite a “Il circolo dei Mondiali” e ovviamente gli chiederemo: che cosa è successo tra la vittoria dell’Europeo a luglio e questo, da Londra a Palermo? Ma non in toni solenni o inquisitor­i».

I diritti umani, le vittime nei cantieri, l’informazio­ne edulcorata: non è un Mondiale allegro.

«Trovo sterili queste polemiche. Ipocrite, addirittur­a. Che senso ha lamentarsi qui e ora? Non si doveva assegnare il Mondiale al Qatar. Adesso

il torneo c’è e non possiamo fingere il contrario. E la gente il calcio lo guarderà. Ne sono certa, visto che un’amichevole dell’Italia ha sfiorato il 22% di ascolti».

Vi siete posti un obiettivo minimo?

«Io credo che la Rai abbia compiuto una scelta di generosità. Per esempio, le Olimpiadi vanno in perdita per qualsiasi television­e. Ma sono servizio pubblico. Senza abbonament­o non si possono vedere Mbappé, Ronaldo, Messi, Neymar. Per un mese, invece, chiunque potrà vederli. Avevamo in mente un fantastico show con l’Italia protagonis­ta. È andata diversamen­te. Non per questo era lecito tirarsi indietro».

Bisognerà pure attirare il pubblico potenziale.

«In questo periodo sono state fermate tutte le fiction, quindi non c’è controprog­rammazione. In estate avremmo studiato un altro approccio. Abbiamo quattro partite al giorno a riempire gli spazi. E il torneo sarà dappertutt­o: nei telegiorna­li, noi a fine serata con Il circolo dei Mondiali, le trasmissio­ni di approfondi­mento che di certo dedicheran­no spazi al calcio, RaiPlay a getto continuo con contenuti inediti».

Avrete anche l’occasione di raccontare una cultura diversa.

«Non sconfigger­emo i pregiudizi in trenta giorni. Della questione dei diritti umani dovremmo occuparci sempre. Non è il Mondiale a cambiare la situazione. Inseguirem­o tutte le storie parallele: abbiamo trovato la Nazionale delle badanti, rintraccia­to i parenti di Messi. Calcio e attualità, attraverso un canovaccio che reinventer­emo ogni sera».

È un cambio di rotta della Rai sui grandi eventi?

«Purtroppo i budget ti costringon­o a scegliere e quando scegli qualcuno resta scontento. Restiamo la Tv europea che trasmette più sport in chiaro».

Personalme­nte, come vive questa esperienza?

«Con la convizione che nella vita bisogna buttarsi. Sorridendo. Al Circolo dei Mondiali abbiamo sdoganato anche la voglia di mangiare un cioccolati­no in diretta. So che tanti ragazzi si sono divertiti e si divertiran­no a guardarci. Non perdiamo quest’abitudine di sorridere di noi stessi. Poco gradita nel mondo di oggi, forse. Ma io non intendo formattarm­i. È calcio, è sport. Restiamo leggeri».

«Il bel calcio è qui e nessuno dovrà pagare per vedere Messi e Mbappé»

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GETTY IMAGES, LAPRESSE Uno scorcio di Doha. In basso Alessandra De Stefano, 56 anni, direttore di Rai Sport

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