Djokovic, il marziano r
Torino consegna il trofeo al re delle Nitto (col sesto raggiunge Federer) Novak torna a vincere le Finals 7 anni dopo con un percorso netto di 5 vittorie su 5, in una stagione misera di tornei e piena di tensioni
Più grande la sfida, più grande la risposta. In campo o fuori, ormai fa lo stesso. E se c'erano dubbi, la vittoria ottenuta ieri sera da Novak Djokovic contro Casper Ruud nella finale delle ATP Finals è stata la conferma definitiva. Non che ne servissero per certificare il suo status di campione. Ma riuscire a chiudere una stagione come quella appena vissuta dal serbo, con pochi tornei nelle gambe e molti problemi per la testa, è impresa unica nel suo genere perché carica di un significato che trascende quello sportivo e investe tanto il privato quanto il personale, si attesta nel presente per dilagare in un futuro imminente cui Novak oggi può ben guardare con la fiducia di chi sa che il tempo del raccolto non è ancora arrivato e la convinzione interiore ancor prima che certificata dal ranking - di essere ancora il più forte.
Dodici anni e diverse ore in meno trascorse in campo durante il torneo, non sono bastati a Casper Ruud per ribaltare un pronostico che vedeva nel serbo il grande favorito di questa finale, a dispetto dei record e di ogni scaramanzia che sempre accompagnano la vigilia di certi appuntamenti. Erano trascorsi infatti sette anni dall'ultima affermazione di Djokovic alle ATP Finals. Il premio, in caso di fine digiuno, sarebbe stato una sesta affermazione con cui affiancare Roger Federer quale giocatore più vincente di sempre nella storia del torneo.
«Sono trascorsi sette anni dal mio ultimo titolo alle Finals, è un bel po', e questo rende questa vittoria ancora più dolce». Questione di gusti, certo. Ma i numeri non ammettono discussioni e raccontano di cinque vittorie consecutive ottenute contro i numeri 3, 7, 5 e 9 e 4 del mondo (concedendo un solo set nell'arco del torneo, a Medvedev). Riavvolgono un nastro che negli ultimi tre eventi giocati prima del gran finale ha visto Nole trionfare in ben due occasioni (Tel Aviv e Astana) cedendo solo in finale a Parigi al baby Rune. E mettono a tacere infine quei pochi brusii levatisi poche settimane fa che ne contestavano la presenza a Torino in virtù del Grand Slam vinto a Londra, scorciatoia privilegiata per un Master che avrebbe dovuto premiare invece il rendimento di una stagione intera.
«Chiudere con una vittoria è davvero importante, è un sollievo e una soddisfazione, e ora non vedo davvero l'ora di staccare un paio di settimane perché sono stato sotto pressione tutto l'anno e sono felicissimo di essere riuscito a chiuderlo così», ha dichiarato soddisfatto il n.5 del mondo.
Affilato, capace come nessuno di leggere l'incontro e capire quale sia il momento giusto per aggredirlo. Il tutto senza offrire al rivale nessun calo di concentrazione, nessuna sbavatura nel gioco, nessuna propensione all'errore nei momenti cruciali della contesa. «Sono le Finals – ha sottolineato Nole a caldo - e ogni match si decide per pochi dettagli. Casper aveva giocato davvero bene durante tutto il torneo e con me ha servito alla grande. Sono riuscito verso la fine del primo set a farlo correre e a rispondere bene e questo ha fatto la differenza».
«Chiudere così è un sollievo. Felice ora ma sono stato sotto pressione»
Una differenza piccola, in principio, ma duplice nelle conseguenze. Perché è su quella che poi il serbo ha continuato a costruire il suo vantaggio, fiaccando nella testa ancor prima che nelle gambe i vani tentativi di rimonta del norvegese. Si gioca sulle statistiche e sulle percentuali, si scrutano gli avversari in cerca di un dettaglio che ne tradisca fatica e sofferenza, badando prima a sé stessi nell’intima convinzione che l’errore verrà prima o poi a far visita anche al nostro avversario. Contro Djokovic l’impressione è invece quella di ritrovarsi di fronte a un muro: impassibile, infallibile, contro cui ormai si gioca e a cui si guarda in attesa di una seconda chance o un perdono che non verranno concessi.