Il potere dei soldi e la guerra del ‘69
La festa di Doha è cominciata. Un’esibizione di potenza. Ma questa volta - critiche dovute a parte - il potere è dei soldi. Sì, anche della politica, ma quel che conta è che il Mondiale del Qatar rientra a buon diritto nel novero degli eventi pacifici mentre il mondo è agitato da guerre e guerricciole, queste ultime pressoché ignorate e cinicamente passate come esotiche. Le guerre nel mondo in corso in questo momento sono ben 59 e l’invasione russa dell’Ucraina è solo l’ultimo di un lungo elenco di conflitti non risolti, dall’Afghanistan alla Libia, dal Myanmar alla Palestina, alla Nigeria. Paesi che un Mondiale non l’avranno mai.
Porta pace - si dice - il calcio. Non sempre. Non dimenticherò mai la Guerra del Football nata per un disputa territoriale fra El Salvador e l’Honduras nel 1969: durò solo quattro giorni, dal 14 al 18 luglio, ma fece 5700 morti, fra militari e civili. La vissi in redazione, anzi in vacanza, perché il Guerin Sportivo d’estate chiudeva e i quotidiani la minimizzarono. I dettagli cruenti furono raccontati dal giornalista polacco Ryszard Kapuscinsky, la sua “Guerra del Fútbol o guerra de las Cien Horas” fu accolta come un romanzo ma era cronaca. Suscitata da due partite di qualificazione del Mundial 1970, con deflagrazione nello spareggio giocato - un anno prima - proprio nello stesso stadio, l’Azteca di Città del Messico, dove una targa ricorda enfaticamente non la guerra del football lì cominciata ma “el partido del siglo”, Italia-Germania 4 a 3. Cinquemila poliziotti non riuscirono a domare le tifoserie bellicose. E fu guerra.
PERCHÉ GUERRA. El Salvador - attivissimo Paese del Golfo di Fonseca con Guatemala, Costa Rica, Nicaragua e Honduras - aveva ottenuto pacificamente dagli honduregni una parte del territorio per attività agricola presto occupato da 300.000 lavoratori salvadoregni. Fino a quando il dittatore dell’Honduras Oswaldo Lopez Arellano decise di cacciarli, come
Gheddafi aveva fatto con gli italiani che avevano coltivato il deserto della Libia, come gli antichi romani di Sabratha e Leptis Magna.
I rapporti fra El Salvador e Honduras si ruppero casualmente in concomitanza con le partite di qualificazione del Mundial che provocarono il danno totale. La gara d’andata, l’8 giugno all’Estadio Nacional di Tegucigalpa, capitale dell’Honduras, registrò la violenza dei tifosi honduregni che imposero l’1-0 al Salvador.
Il ritorno del 15 giugno all’Estadio Nacional de la Flor Blanca di San Salvador, capitale di El Salvador, fu preceduto da gravi disordini notturni che si trasferirono allo stadio. I padroni di casa vinsero 3 a 0. Il regolamento prevedeva vittorie, non gol segnati, e la partita decisiva di spareggio fu giocata all’Estadio Azteca di Città del Messico, dove il 26 giugno El Salvador vinse 3-2 dopo i tempi supplementari. Con la successiva vittoria su Haiti i salvadoregni conquistarono la qualificazione. (Quattro anni dopo - mi piace ricordare, perché c’ero - Haiti, allenata dal triestino Ettore Trevisan, affrontò a Monaco di Baviera l’Italia di Valcareggi nel Mondiale tedesco e fece un gol a Zoff/record con il velocissimo Sanon; poi vincemmo 3-1 con reti di Rivera, Benetti e Anastasi ma quel gol ci costò l’eliminazione).
Il 18 luglio gli Stati Uniti - che prima avevano soffiato sul fuoco - imposero il cessate il fuoco. Risultato come dicevo - 5.700 morti - la maggior parte dei quali honduregni - 15.000 feriti e 50.000 sfollati. Kapuscinsky commentò: «I due governi sono rimasti soddisfatti della guerra, perché per qualche giorno Honduras e Salvador hanno riempito le prime pagine dei giornali di tutto il mondo e suscitato l’interesse dell’opinione pubblica internazionale. I piccoli Stati del Terzo, del Quarto e di tutti gli altri mondi possono sperare di suscitare qualche interesse solo quando decidono di spargere sangue. Strano ma vero». Sembra oggi.