Corriere dello Sport

«Io, Muhammad Ali ho il colpo del ko»

Il top scorer del campionato di Pesaro si racconta: il primo tecnico fu il papà Abdur-Rahkman: «Mio padre lo conobbe e gli strinse la mano E poi mi chiamò come lui!»

- Di Elisabetta Ferri PESARO

Che avesse il colpo del ko nelle mani, Abdur-Rahkman l’aveva dimostrato all’esordio casalingo, nella seconda giornata, stendendo Venezia con un canestro incredibil­e all’ultimo secondo che l’aveva subito fatto entrare nelle grazie dei tifosi pesaresi.

Nomen omen per un giocatore che suo padre ha voluto chiamare Muhammad Ali, in onore del mito del pugilato di cui era un grandissim­o fan. «La mia famiglia è di fede musulmana racconta la guardia della Carpegna Prosciutto - e il mio nome di battesimo è legato al campione di boxe che era il suo idolo e che ebbe l’onore di conoscere durante un training-camp, stringendo­gli la mano. Non ero nato quando Ali era nel pieno fulgore della sua carriera, ma so perfettame­nte cos’ha fatto e per cosa ha combattuto anche fuori dal ring. Per questo sono molto orgoglioso di portare il suo nome».

PAPA’ COACH. Non ha miti a cui ispirarsi nel basket, però per questo 28enne che viene dalla Pennsylvan­ia la figura più importante è proprio suo papà, Dawud: «Era coach al Lehigh Carbon Community College e la sua influenza su di me è stata forte. Mi ha anche allenato fra i 14 e i 17 anni, insegnando­mi tanto, dentro e fuori dal campo. Indosso il numero 5 perché è il nostro numero di famiglia».

A Brindisi, dove la Vuelle ha centrato la terza vittoria su quattro in trasferta, un segnale di grande mentalità che la proietta al quinto posto in classifica, è stato lui a dare i primi colpi che hanno fatto crollare l’Happy Casa (peggior sconfitta degli ultimi 11 anni), chiudendo con il suo high sia nei punti segnati (23) che nella valutazion­e (34): due graduatori­e delle quali è il leader assoluto.

TOP SCORER. «Onestament­e non me l’aspettavo di poter essere il top scorer del campionato italiano (19,8 p.) perché non sono mai stato troppo focalizzat­o sul segnare tanto, mi considero più un uomo squadra, dedito a fare ciò di cui il mio team ha più bisogno - spiega -. Ma coach Repesa mi ha chiesto di essere aggressivo anche in attacco e di sentirmi a mio agio sia nel tirare che nel creare per i compagni».

Con il 53,8% da tre (è terzo in serie A) sta tirando anche molto meglio rispetto all’ultima stagione trascorsa in Polonia, una lega minore nel panorama europeo. «Lo scorso anno faticavo a carburare perché venivo da un anno di inattività ed è stata l’unica stagione che ho saltato da quando ero un bambino – racconta -, per cui questa cosa mi aveva tolto ritmo. Ma qui sia il coach che i compagni mi hanno dato una valanga di fiducia e la libertà di prendermi le mie responsabi­lità. Così sono tornato a segnare come facevo all’università di Michigan: una grande scuola che mi ha formato nel modo giusto”.

Pesaro lo ha coinvolto, come sempre accade quando gli esigenti tifosi di una delle Basket City d’Italia riconoscon­o il talento e la personalit­à di un americano: «Adoro Pesaro. Sono un grande appassiona­to di questo sport, oltre a praticarlo, ed è sempre stupendo giocare in un posto che ha la tua stessa passione. Ti dà quelle motivazion­i extra per giocare duro e per farlo sempre meglio, perché sai che i fans sentono nello stesso modo lo spirito del gioco e ci dimostrano il loro supporto, non solo venendo in tanti al palasport ma facendo anche tanto rumore».

«Coach Repesa mi ha chiesto di essere aggressivo anche in attacco»

«Segno tanto perchè qui mi hanno dato una valanga di fiducia»

RIGENERATO. Adesso vorrebbe che la sua famiglia, a cui è legatissim­o, potesse vederlo in questa nuova realtà. «Sono andato a casa durante la sosta e li ho trovati affascinat­i dall’esperienza che sto vivendo: spero possano venire presto a trovarmi così da poter vedere coi loro occhi dove sono capitato. Mi ha rigenerato vederli, verificare che là va tutto bene e sono tornato con ancora più desiderio di fare bene il mio lavoro qui in Italia».

L’unico problema è come farsi chiamare, visto il doppio nome e il doppio cognome che rende complicate le cose ai tifosi, così si è inventato un nickname, Mars, formato dalle sue iniziali e aggiungend­ovi la lettera s, come il pianeta Marte. In effetti, in queste prime sette giornate sembra proprio un alieno.

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CIAMILLO Muhammad-Ali Abdur-Rahkman, 28 anni, guardia-play
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