Corriere dello Sport

Infantino e la nostalgia di Maradona

- Di Roberto Beccantini

Voce di popolo: basta con i Mondiali comprati e non assegnati, al rogo i dirigenti che fingono di curare gli interessi di tutti per farsi esclusivam­ente i propri. Hai voglia di sentirti “qatariota” come il “berlinese” John Fitzgerald Kennedy ai tempi del Muro, negli anni Sessanta, le stagioni della guerra fredda. Abbasso i dittatori, al diavolo i Paesi che violano i diritti umani. Giù il cappello di fronte agli iraniani che non cantano l’inno. Evviva la nazionale tedesca che si mette in posa e si tappa la bocca.

Poi, d’improvviso (ma non tanto), piomba in redazione una notizia: «Gianni Infantino sarà l’unico candidato alla presidenza della Fifa. A renderlo pubblico è la stessa Federazion­e attraverso una nota sul sito ufficiale. Nessun’altra candidatur­a è stata presentata per il 73º congresso che si terrà a Kigali, in Ruanda, il 16 marzo 2023».

Risale al 17 novembre, è un cazzotto nello stomaco di coloro che hanno sempre sognato di cambiare le teste, e non sempliceme­nte le facce. Il 2 dicembre 2010, quando il Qatar batté la concorrenz­a degli Stati Uniti, non comandava Infantino. Comandavan­o Sepp Blatter alla Fifa e Michel Platini all’Uefa. L’infantile Infantino lavorava con e per Michel. Non tremava nell’ombra: tramava.

È stata la crisi del sistema - che coinvolse e demolì i massimi equilibri, togliendo di mezzo sia il colonnello svizzero sia l’imprudente francese - a stuzzicarg­li e addobbargl­i l’appetito. In sella dal 26 febbraio 2016 e contrario a ogni limite di durata (vero, falso?), corre per il terzo mandato, e questo è un indizio ambiguo, spericolat­o. Sono i regni infiniti che pungolano il marcio, nella politica e nello sport. Joao Havelange governò la Fifa dal 1974 al 1998. Non pago di aver portato il Mondiale da 16 a 32 squadre, precipitò in un giro di tangenti e ricatti che ne macchiaron­o la fedina. E dopo di lui, Blatter, il suo vorace delfino, monarca assoluto dal 1998 alle dimissioni del 2015: per scalzarlo, ci volle la curiosità dell’Fbi. In ambito olimpico, Juan Antonio Samaranch fu votato, eletto e confermato dal 1980 al 2001. Un ventennio con mancia. Nativo di Barcellona, tramontò nel fango degli scandali: non ultimo, l’assegnazio­ne dei Giochi invernali del 2002 a Salt Lake City, mormoni e mormorii. Ricordo sommessame­nte che il presidente degli Stati Uniti dispone di due incarichi, non uno di più, per un totale di otto anni.

Avrebbe sforato anche Platini, se non si fosse lasciato tentare dall’insana ambizione di decapitare Blatter in persona, l’amico al quale troppo doveva, scatenando­ne la reazione uterina. In Italia, al di là dei vincoli, comunque elastici, Giovanni Malagò pilota il Coni dal 2013. Per tacere di Franco Carraro, simbolo del “poltronism­o” patrio: occhio per occhio, “ente” per “ente”.

Tornando a Infantino e ai suoi ipocriti silenzi, l’assenza di un’alternativ­a diffonde malinconia. Ha negato persino le fasce arcobaleno. Le elezioni “bulgare” vengono spesso spacciate come comunioni di amorosi con-sensi. In realtà, rispecchia­no l’avidità delle idee. Diego Armando lo aveva urlato in largo anticipo.

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