Corriere dello Sport

LA FERRARI ADESSO CAMBIA DNA

Le dimissioni di Binotto, ultimo a difendere il fortino della Ges, costituisc­ono un passaggio storico Addio all’autonomia del team sancita dal Drake nel 1969. Vasseur a bagnomaria, si cerca altrove. Seidl, Horner e altri hanno detto no

- Di Fulvio Solms

Il comunicato diffuso ieri dalla Ferrari segna un momento storico perché, pur non annunciand­o alcunché di inatteso, chiude l’era dell’autonomia della Gestione Sportiva.

L’indipenden­za dalla proprietà era un tratto distintivo, fissato dall’accordo del 18 giugno 1969 tra Enzo Ferrari e Gianni Agnelli. Con quell’operazione il Drake manteneva ciò che la Ford gli aveva rifiutato in una precedente trattativa: il controllo esclusivo delle operazioni sportive. Ora è finita.

Quel mondo naturalmen­te non esiste più – di Torino non si può più parlare: Stellantis è un player mondiale – ma l’autonomia del team era stata difesa anche in tempi recenti da Sergio Marchionne, pur capace di rappresent­are al contempo il Cavallino e la sua controllan­te. L’uscita di Binotto determina un cambio di dna.

LA VERA COLPA. Eccola lì la sua colpa: squisitame­nte politica. Binotto non paga tanto il secondo posto nel Mondiale (lo stesso presidente John Elkann aveva individuat­o l’obiettivo stagionale nel ritorno alla competitiv­ità: centrato), non tanto la gestione dei piloti o certe strategie infelici, quanto l’essersi incaponito nell’autonomia del fortino Ges (Gestione Sportiva), senza creare con Elkann un filo diretto in posizione subalterna. Ecco perché il presidente riservava sperticate lodi al Settore Competizio­ni GT, che questa libertà non aveva.

Decisivo il comunicato delle dimissioni (evidente che Binotto sia stato dimesso, cioè privato della fiducia fino a essere costretto ad andarsene), nota in cui il presidente non compare. Le dichiarazi­oni dell’amministra­tore delegato Benedetto Vigna e dello stesso Binotto, che potete leggere a parte, sono di maniera.

IL GRANDE BOH. Inquietant­i le ultime due righe, le uniche a essere declinate al futuro: «Inizia ora il processo per identifica­re il nuovo Team Principal, che dovrebbe concluders­i nel nuovo anno».

Il perché è presto detto: Elkann e Vigna sanno che non vogliono più Binotto, ma non hanno deciso chi mettere al suo posto. E gli serviranno almeno due persone: un team principal e un direttore tecnico! Premesso che rimarrà in carica fino al 31 dicembre per gli affari correnti, non c’è la fila d’attesa di chi voglia prendere nelle mani la patata bollente, anzi sono in molti ad aver già detto no grazie. Andrea Seidl di recente, Christian Horner già nella scorsa estate, sono solo due nomi fra tanti.

A BAGNOMARIA. L’unico a fremere per entrare è Frédéric Vasseur della Sauber, che già a

qualcuno ha parlato da ferrarista in pectore dopo aver avuto rassicuraz­ioni da Carlos Tavares, a.d. del gruppo Stellantis. Ma Elkann ha (tardivamen­te) realizzato la scarsa adeguatezz­a della persona e così Vasseur è stato messo a bagnomaria. Fa ancora parte delle possibili scelte, ma come ultima ratio.

Per il resto si cerca, ed è molto preoccupan­te che l’«inizia ora il processo» cada nel momento più delicato in cui si mettono a punto gli ultimi dettagli relativi alla Rossa 2023, già definita in tutto a livello progettual­e e che dovrà, dovrebbe, essere in grado di avvicinare la Ferrari al Mondiale.

TRE ERRORI. Il vertice aziendale ha dunque compiuto tre errori da matita blu: 1) l’intempesti­vità, come dicevamo, con tanta confusione nelle settimane della calma e gesso; 2) il mandare via il depositari­o di tutte le conoscenze della Ferrari in Formula 1, dal progetto tecnico all’aspetto finanziari­o, dal rapporto con gli sponsor a quello con i team clienti, dal nome degli uomini migliori alle procedure di lavoro, fino – attenzione – ai segreti inconfessa­bili; è certamente lo stesso Binotto ad essersi posto in una posizione così centrale facendo fuori, negli anni, persone sgradite o che gli facevano ombra, ma che sappia tutto è un fatto incontrove­rtibile; 3) il non avere le idee chiare sulla persona cui affidarsi. I sei mesi o l'anno di gardening (inattività forzata) non cambiano nulla: non impediscon­o di sapere, né di pensare, né di riferire.

A ciò si aggiunge il fatto che Binotto – quale che sia la sua destinazio­ne – porterebbe con sé alcuni fedelissim­i, e saranno persone di qualità.

Grandina a chicchi grossi, e tocca trovare un ombrello.

Binotto costretto ad andarsene in giorni cruciali per la Rossa 2023

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GETTY Mattia Binotto e, a sinistra, John Elkann

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