FERRARI IN STILE RE
La visione del presidente richiede un’ampia riorganizzazione che sposta l’obiettivo mondiale al 2026 Elkann ha in testa un team con tre figure apicali e un pilota di punta sul modello dei rivali, che stanno dominando grazie a Verstappen
Il problema non era Mattia Binotto, ma il ruolo. Il presidente John Elkann non ha determinato la caduta del vertice della Scuderia semplicemente per sostituire l’ingegnere reggiano. Né l’innesco di ciò che è successo, sta succedendo e succederà va cercato in eventi di tipo tecnico-sportivo: non nel calo di competitività e nei problemi di affidabilità sopraggiunti nel corso della stagione, non nelle strategie a volte sbagliate, e neanche nella mancata vittoria nel Mondiale. Presi a sé, i secondi posti nelle due classifiche costituiscono pur sempre un passo avanti.
BASTA ONE-MAN-BAND.
Dietro la rivoluzione c’è una scelta, e se è felice lo dirà il tempo. Elkann è profondamente convinto che l’accentramento di più ruoli nella stessa persona al vertice del team del Cavallino non sia produttivo, e questo tipo di visione può essere condivisibile. Le formali dimissioni Binotto - spinto verso la porta d’uscita con una prolungata e palese mancanza di fiducia - sono solo la prima visibile conseguenza del processo di cambiamento.
Non si torna più indietro neanche sulla fine dell’autonomia di cui la Scuderia aveva goduto fin dal 1969 per un preciso accordo tra il fondatore e l’Avvocato Agnelli, nonno e mentore di John.
Quel che ha in mente Elkann è il modello Red Bull, con tre apici: un supercapo duro e puro, non necessariamente proveniente dal settore motori, che controlli dall’alto l’intera squadra e si occupi in prima persona degli aspetti politici e dei rapporti con FIA e Formula 1; poi un classico team principal dominante a livello esecutivo e pertanto al muretto; infine un direttore tecnico anch’esso di stampo classico, con padronanza dei progetti in essere e provenienza dall’area telaio/aerodinamica, non più dai motori come avvenne - un unicum in Formula 1 - quando l’incarico fu assegnato a Binotto.
Ma per Maranello si tratta di un cambio di dna così profondo e inedito da poter aggiustare il giocattolo, o anche romperlo.
TRIADE ROSSA. Le tre figure sono rispettivamente sovrapponibili a Helmut Marko (magari ibridato con Toto Wolff per ciò che riguarda gli aspetti politici), a Horner e ad Adrian Newey e cercarli tutti e tre sarà un lavodi raccio. Del pacchetto fa parte anche il gioco a una sola punta, esattamente come la Red Bull pazientemente cucita, negli anni, attorno a Max Verstappen.
Gli stop alla “repubblica Ges” e al responsabile unico non bastano: si vuole anche che il nuovo supercapo non sia un ingegnere («credono di essere al centro del mondo e vanno controllati», è il sussurro che corre nelle stanze della presidenza).
Cercatori di teste sono attivi per la figura più apicale e come massimo responsabile tecnico potrebbe anche tornare l’ingegner Simone Resta dalla Haas, mentre per il ruolo del team principal si cerca qualcuno che costituisca una valida alternativa a Frédéric Vasseur, candidatosi di sua iniziativa e cooptato con un po’ troppa fretta.
Sono momenti importanti per prendere grandi decisioni, come ha dimostrato la presenza di Elkann a Maranello per l’intera giornata di martedì, nonostante la bufera appena scatenatasi per le dimissioni in blocco del Cda della Juventus. Non si sarà occupato soltanto della Ferrari, certo, ma la sua presenza negli uffici di Via dell’Abetone Inferiore era evidentemente necessaria come ha dimostrato la sua partenza avvenuta quand’era ormai buio alle 17.18, dal piccolo eliporto ai margini della pista di Fiorano.
PERCHÉ IL 2026.
Il processo è dunque lungo e ciò spiega due aspetti che, in mancanza di tale visione, risultavano stranianti: l’allarmante ultima riga del comunicato delle dimissioni di Binotto in cui si annunciava «Inizia ora il processo per identificare il nuovo Team Principal, che dovrebbe concludersi nel nuovo anno», e soprattutto acquistano chiarezza d’intenti le parole di Elkann dello scorso settembre quando, con il Cavallino che sentiva di poter rampare verso i titoli, si disse «fiducioso che di qui al 2026 la Ferrari tornerà a vincere un Mondiale costruttori e uno piloti».
Era incomprensibile quel rinvio alle calende greche, e ora non lo è più. Effettivamente una tale riorganizzazione per puntare al Mondiale richiede un termine almeno quadriennale, ciò che appunto sposta il traguardo dal 2023 alla fine del 2026. Se si arriverà fin lì senza un titolo piloti il digiuno sarà giunto a diciannove anni, due in meno dell’interminabile deserto attraversato dalla Ferrari tra Jody Scheckter e Michael Schumacher (1979-2000).
Più che Binotto è saltato il ruolo di un uomo che decide tutto
Il nuovo schema: un superboss, un team principal e un capo tecnico
«La situazione che si è creata alla Ferrari mi dispiace molto e mi preoccupa Però in momenti come questi, siccome voglio veramente molto bene alla Ferrari , preferisco non fare commenti, se non dire che purtroppo mi sembra che sia un’azienda senza un leader e senza una leadership»