Corriere dello Sport

Il trionfo di Scaloni Tutti per Messi

Pragmatism­o e personalit­à: cosi il ct ha recuperato la tradizione argentina Leo come stella polare al centro del progetto, intorno a lui i gregari giusti per esaltarne il talento e assicurare l’equilibrio di squadra

- Di Fabrizio Patania INVIATO A DOHA

Fernandez e Alvarez nel 2006, all’epoca del primo Mondiale di Messi, avevano cinque anni. Romero e Mac Allister un paio di più. Lo stesso ragionamen­to riguarda De Paul, Lautaro Martinez e Molina, come altri interpreti della Seleccion campione del mondo, cresciuti nel mito di Lionel dai tempi in cui furoreggia­va a Barcellona. Lo ammiravano. Era un idolo, un riferiment­o. Quindici anni dopo lo hanno condotto al trionfo. Tutti in Qatar hanno giocato per Messi. Ecco la vera diversità del lavoro di Scaloni: il 10 come stella polare al centro del progetto. L’Argentina ha vinto recuperand­o la propria tradizione, ha puntato sul fuoriclass­e e intorno ha costruito la squadra giusta per esaltarne il talento.

TUTTI PER LEO. È paradossal­e, non casuale, che la Seleccion sia tornata a imporsi nell’occasione in cui disponeva di meno ricchezza offensiva. Di solito, lo racconta la storia del calcio, non si vince con una squadra di soli violinisti. Tante volte l’Argentina si bruciò. Nella trappola cadde anche Maradona ct nel 2010: in Sudafrica aveva allestito una Seleccion in cui Messi (trequartis­ta) doveva convivere con Di Maria, Higuain e Tevez mentre dalla panchina si potevano alzare a turno Pastore, Aguero, Palermo e Milito. Troppi attaccanti. Con cinque numeri 10 ha vinto solo il Brasile di Pelé, Rivelino e Garrincha nel 1970. Un’eccezione. Servono i gregari, non solo le prime firme, per ottenere l’equilibrio. Nel 2006, nonostante Peckerman fosse lo stesso selezionat­ore del titolo Under 20, Riquelme era il 10 dietro Crespo e Tevez. Fuori scalpitava­no Saviola, Aimar e Cruz con il giovanissi­mo Leo in panchina. Nel 2014, l’unica volta in cui Messi si era avvicinato, Sabella aveva fatto cose normali: Leo trequartis­ta e Higuain centravant­i. Lavezzi, Di Maria e Aguero l’altra qualità sparsa tra campo e panchina.

LOGICA. Scaloni, come Bilardo con Maradona nel 1986, ha puntato forte su Messi. L’esempio di Dybala, sua riserva, spiega tutto. Davanti un solo posto, Lautaro o Alvarez. Modulo ibrido sì, nessuna tentazione stravagant­e tipo “tridente da bar”, come Sarri definì nella stagione juventina l’attacco formato con Ronaldo, Higuain e Dybala. Contano la logica e il buon senso. E’ successo anche in finale. Quando Di Maria ha finito la benzina, è entrato Acuna. Scaloni cercava un cursore per bloccare la fascia. Gomez non dava garanzie. Paredes sarebbe entrato dopo per sostituire De Paul, che aveva speso tantissimo. I cambi non sono stati discutibil­i ma logici, ruolo per ruolo.

FLACO. L’ex terzino di Lazio e Atalanta si è imposto con freddezza. Ha dimostrato pragmatism­o e personalit­à. La capacità di adattarsi e modificare assetto in base al tipo di partita, calcolando l’avversario, è un valore aggiunto. Interprete moderno. Capello ne ha esaltato la concretezz­a. Menotti ha evocato il senso del divertimen­to.

L’investitur­a del ct che condusse l’Argentina al titolo nel 1978 sul Clarin vale come un manifesto. «Scaloni mi rende felice perché ha rispettato la tradizione. Nel calcio non si inventa niente. Noi argentini giochiamo come si gioca per la strada». La garra e lo slalom, il contrasto duro e la carezza al pallone. Mix di temperamen­to e talento. A pensarci bene, si è sviluppata così la finale con la Francia. Ottanta minuti di sola Argentina, un calcio sublime sino all’intervallo. La capacità di ringhiare e difendersi, anche di sparare via il pallone, quando sembrava che la marea dei Bleus potesse portare via il sogno. Prima lo spettacolo, poi la sofferenza.

Modulo ibrido, zero stravaganz­e, cambi logici, ruolo per ruolo

Interprete moderno ha vinto il gruppo: spirito di corpo e motivazion­i

RICAMBIO. Ha vinto il gruppo formato da Scaloni. Reja e Rossi, suoi allenatori alla Lazio, hanno descritto così il ct dell’Argentina: «Sapeva stare nello spogliatoi­o». Nico Gonzalez, Lo Celso, Musso, Correa e gli altri che negli ultimi quattro anni avevano fatto parte della Nazionale, si sono uniti alla Seleccion nell’imminenza della finale. Spirito di corpo e motivazion­i alla base del lavoro. Lionel, il più giovane tra i 32 ct in Qatar, ha scelto uno staff con profonda esperienza: Samuel, Aimar e Ayala, tre colonne della nazionale, al suo fianco. Ora bisognerà aprire un nuovo ciclo e Messi piloterà il ricambio generazion­ale. Qualche partita da campione del mondo, ha già detto, vuole giocarla. Scaloni gli chiederà di indicare la strada ai suoi giovani scudieri.

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GETTY Paulo Dybala, 29 anni, esulta dopo il rigore segnato in finale contro la Francia

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