Gli amici con la bara in spalla Mancini: «Una vita insieme»
Molti biancocelesti di oggi e di ieri, poi Totti De Rossi, Montella, Donnarumma e Pradè
Non basta la prima occhiata per capire quanta gente ci sia dentro Piazza della Repubblica, da dove arrivi e fin dove arrivi. Duemila, tremila. Migliaia di tifosi di tutta Italia, decine dalla Serbia. Non tutti sono riusciti ad entrare nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, tempio delle cerimonie ufficiali di Stato, off limits alle telecamere per volontà della famiglia Mihajlovic. Le presenze erano schiaccianti. Il feretro di Sinisa, lasciata la camera ardente del Campidoglio, è arrivato poco dopo le 10 in chiesa accompagnato dalla moglie Arianna, dai figli, dalla madre Viktorija e dal fratello Drazen, in ammirevole compostezza. Tre ore dopo, la bara, drappata con maglie (Lazio, Bologna, Stella Rossa) e con una bandiera della Serbia, ha varcato la soglia della chiesa per essere posta dentro al carro funebre, una cripta verticale. L’hanno portata in spalla Mancini, Stankovic, Attilio Lombardo, De Silvestri e Arnautovic. Poco più dietro Soriano, singhiozzava. Tutti legati da fratellanza. Applausi lunghi e commossi hanno salutato Sinisa. Mancio è rimasto in piedi, alla sinistra del feretro, per tutta la messa: «È stato un onore e un privilegio avere Sinisa come amico, abbiamo passato una vita insieme».
LE SQUADRE. C’era il mondo ieri. La Lazio e il Bologna schierate al completo, guidate dai presidenti Lotito e Saputo, dai tecnici Sarri e Thiago Motta. C’era anche l’aquila Olympia. Il dispiegamento delle istituzioni politiche e calcistiche: il sindaco Gualtieri, i presidenti Malagò (Coni), Gravina (Figc), Ulivieri (associazione allenatori), Montezemolo. I ministri Abodi (Sport) e Lollobrigida (Agricoltura e Sovranità alimentare). Da un lato all’altra della navata, nei posti riservati e nascosti nella folla, si vedevano ovunque giocatori di ieri e di oggi. I laziali Pancaro, Marchegiani, Fiore, Corradi, Marcolin, Peruzzi, Liverani, Jugovic, Gregucci,
Piscedda, Giordano, Rambaudi, Sereni. Delio Rossi, uomo del popolo, è rimasto tra i tifosi. I romanisti Totti, entrato per salutare Arianna, poi rimasto in fondo alla chiesa, e De Rossi. Anche Bruno Conti, Di Livio e Di Biagio. C’era Montella, rimasto in piedi accanto alla famiglia d’origine di Sinisa. Svettava la sagoma di Donnarumma, che a Miha deve la gloria. Presenti anche Baresi e Massaro. E poi Sirigu, De Sanctis, Bazzani, Salsano, Nuciari, Burdisso, Cerci. Gli allenatori Juric, Cosmi e Iachini. E ancora Oriali, Riccardo Bigon che con Sinisa ha vissuto gli anni della malattia, Pagliuca, Stefano Torrisi. L’Inter è stata rappresentata dal diesse Ausilio, una corona portava la scritta “famiglia Inzaghi”. La Fiorentina dal diesse Pradè. C’era Massimo Ferrero. C’era il manager Pastorello. C’era l’ex pilota Fisichella.
GLI ALTRI. Non poteva mancare Gianni Morandi, ancora provato: «Credevo che ce l’avresti fatta». Urbano Cairo, presidente del Torino, ha trovato posto davanti a Lotito. Carissimi nemici, si sono stretti la mano, hanno parlottato. «Lanciava i giovani, li sosteneva finché camminavano da soli», le parole del patron granata. Ha emozionato l’ex pugile Cantatore, è stato collaboratore di Sinisa a Bologna. Ha poggiato sul feretro la cintura di campione e durante la messa ha dedicato un messaggio a Miha. Tra i banchi Gianluca Vacchi, imprenditore e re di Instagram, e Paolo Brosio. In rappresentanza del Governo serbo Zoran Gajić, ministro dello sport, ha parlato anche a nome della Federazione serba: «Mihajlovic fa parte dei successi della Stella Rossa e del nostro calcio, fa parte della cultura calcistica della Penisola italiana. Ed è sia nostro che loro». «Sinisa non sarai dimenticato», è lo striscione firmato ultras Lazio. «E se tira Sinisa è gol», il coro tra i fumogeni. Sinisa riposa fra nomi illustri al cimitero monumentale del Verano. Di quell’uomo, una statua da guerriero.
Il dolore dell’ex pugile Cantatore e di Morandi «Ho sperato»