Il Giovane Sconcerti e il Dottore Bernardini
Caro Italo, abbiamo cercato di divertirciconilMondialeanche per sottrarci alla inarrestabileequotidianacomunicazione di sfighe. In mezzo ai suoni e ai colori del Qatar e alle belle immagini delle sfide si è insinuata - come hai scritto - la morte di persone diventate amiche. Prima Mihajlovic, poi Sconcerti, poi Buzzanca… Eventi dolorosi resi ancora più acuti da quello che ci circondava… Ti ho visto in tivù addolorato…
Lettera firmata
Già. Addolorato. E stavolta non erano lacrime… calcistiche. Qualcuno ridacchia del pianto di Adani alla vittoria di Messi, io lo capisco. Nel 2006, al trionfo azzurro, l’incontenibile Marco Mazzocchi mi ha fatto catturare dalla telecamera: «Cucci piange! Cucci piange!». Me la sono cavata col dire che di noi romagnoli si maligna «perché abbiamo le lacrime in tasca». La morte di Lando Buzzanca mi ha colpito ma al tempo stesso mi ha fatto pensare che per lui sia stata una liberazione. Nel 2015 siamo stati ospiti di Bruno Vespa in una puntata di “Porta a Porta” per parlare della depressione - il male oscuro del nostro tempo - con Roberto Gervaso, Giuliana De Sio e Remo Girone. Cercava di esser Lando, scherzoso, leggero, ma non ci riuscì.
Sabato, quando mi è arrivato il messaggio “Mario è morto” non mi son messo a piangere ma avrei gridato tutta la mia rabbia per un’altra grande ingiustizia del destino. Ero a una premiazione con Marco Tardelli e le più alte personalità dello sport nazionale, Abodi, Malagò, Cozzoli, atleti, giornalisti, tutti raggelati dalla notizia. C’era anche Susanna Galeazzi, l’affascinante figlia di Gian Piero, brava giornalista. E subito, increduli - da un pensiero all’altro - a ricordare Mario. Che per me - dieci anni di più - era il Giovane Sconcerti. Nel 1974 lavoravo al “Carlino” e avevo convinto il… pensionato Fulvio Bernardini, già giornalista (era stato capo del calcio del Corriere dello Sport) a scrivere per me. Poi fu Mondiale, l’Italia perse malamente, Artemio Franchi mi chiese in prestito “Fuffo” e glielo diedi. Apriti cielo. I futuri mangiaBearzot si scatenarono contro il Dottore che rispose a modo suo, con ironia, convocando 104 giocatori, compreso il figlio di un amico. Un giorno mi chiamò: «Sto viaggiando alla ricerca di nuovi virgulti e mi tiene compagnia un tuo collega bravo e perbene, il giovane Sconcerti…». «Bravo e perbene» detto da Fulvio vale almeno quanto le belle parole che hanno accompagnato il suo addio. Io e Mario ci siamo scambiati la sedia di direttori in questo giornale. La prima proposta per lui l’ho fatta io. Ci siamo rispettati sempre. Per me - vecchio - aver perduto il Giovane Sconcerti suona come un’ingiustizia. Mi rattrista. Mi incoraggio pensando a quello che mi disse mia mamma andandosene: «Non ho niente da lasciarti, solo la mia vita». Aveva novantanove anni e nove mesi.