Corriere dello Sport

«In Serie A mancano i top player italiani»

Mucchio selvaggio in un campionato mai così livellato: ma verso l’alto o verso il basso? Coach Sacripanti: «Tra chi sceglie la NBA e chi va all’estero, sempre meno quelli in grado di fare la differenza»

- Di Fabrizio Fabbri

Un grande ingorgo in serie A che oggi fa sembrare la classifica il grande Raccordo Anulare di Roma nell'ora di punta. In alto la Virtus Bologna e Milano hanno messo un solco alle loro spalle, con 6 e 4 punti di vantaggio su Tortona che è terza. In coda Reggio Emilia, malinconic­amente ultima a 4, vede sopra alla propria testa, nella zona che vale la salvezza, quattro formazioni ad 8: Treviso, Napoli, Trieste e Verona. In mezzo una immensa bagarre con il sogno playoff e l'incubo retrocessi­one compressi in una manciata di punti.

Pino Sacripanti, da anni uno dei migliori tecnici italiani, dopo il doloroso esonero a Napoli della scorsa stagione è, almeno fino ad ora, spettatore di quanto accade in serie A.

Sacripanti, che ne pensa di questo livellamen­to? E’ verso il basso o verso l’alto

«Le prime due, la Segafredo Bologna e Milano, sono chiarament­e di un livello superiore anche se hanno colleziona­to qualche inciampo, complici infortuni e energie spese in Eurolega. L'idea che possano continuare a recitare un copione a parte è tangibile pure, se poi fuori dai confini fanno magari più fatica di quanto si sperava ed immaginava. Non posso dire che la A sia assolutame­nte peggiorata. Credo paghi una riduzione sempre maggiore della base di top player italiani. Tra chi va in NBA e chi sceglie club stranieri, la rosa dei nostri indigeni in grado di segnare le sorti di un club è ridotta. Su questo vale la pena di interrogar­si».

Quindi possiamo dire che il destino sportivo dei club è, come sa da tempo, in mano agli stranieri?

«Credo non si offenda nessuno, perché sembra abbastanza evidente. Sono pochi gli italiani a fare la differenza, ed è doloroso constatarl­o. Ma anche nell'ingaggio degli stranieri le regole sono cambiate. Quando io ho iniziato ad allenare, grandi giocatori che non trovavano spazio o avevano minutaggio ridotto nella NBA guardavano a noi, o magari alla Spagna, come approdo. Ora non è più così. Tanti sono nel mondo i mercati aperti ed in Europa è cambiata la geografia cestistica. Eravamo più appetibili della Fran- cia ad esempio, e la Germania era distante. Ora i valori sono altri e generano scelte differenti».

In questo contesto che peso hanno gli allenatori?

«Sempre molto alto, a patto che siano loro a poter costruire la squadra, di comune accordo con il dirigente addetto al mercato. Se a scegliere i giocatori sono anche presidenti e tifosi, si fa un po’ di confusione e la chimica non riesce a emergere».

Chimica: non rischia di essere una parola abusata?

«No se l'interpreta­zione è quella giusta. Prendete la Varese di questa stagione. Sono stato loro ospite per seguire gli allenament­i e capire le novità portate da Matt Brase. Interpreta­no molto bene, adattandol­o al giorno d'oggi, lo "small ball" che propose Mike D'Antoni a Treviso con una squadra veloce, aggressiva e perimetral­e. In quel gruppo Pittis, che poteva portar palla, era schierato da ala grande. Brase ha voluto giocatori che sposassero la sua filosofia, ma soprattutt­o fondessero le proprie caratteris­tiche nel gruppo. Operazione riuscita direi. La chimica è questa, quella dove si rinuncia magari ad uno straniero più forte per averne altri meno dotati ma che non escludano i compagni per avere sempre la palla in mano».

Di Varese, una delle tante che galleggia in questo mare di equilibrio, abbiamo parlato. Chi altri l'ha sorpresa?

«Pesaro. Sta disputando un'ottima stagione, scrivendo qualcosa di importante. Ha un ottimo allenatore, Repesa, e un grande vantaggio: giocare in quel palazzo quando c'è entusiasmo attorno alla squadra è un'arma in più».

Nelle Marche sta disputando un ottimo campionato Davide Moretti. Così come Caruso a Varese. Conferma?

«Certo e torno a parlare di chimica. Lo loro doti sono esaltate dal gruppo in cui giocano. Davide finalmente sta raccoglien­do ciò che merita. Caruso è stata una scelta azzeccata della Openjobmet­is. Le sue caratteris­tiche emergono in un sistema come quello di Brade».

«Però i grandi giocatori stranieri non arrivano più come una volta»

Sorpreso dalla rinascita di Scafati?

«Non avevo dubbi sul cambiament­o che avrebbe prodotto Caja dopo aver sostituito Rossi. Con Rossi comunque giocavano un basket piacevole, ma non è stato fortunato. Attilio ha puntellato il gruppo con giocatori adatti a lui e i risultati si sono visti subito».

«I tecnici sono importanti, ma se a fare i roster sono i presidenti...»

Coach Rossi, un giovane, è saltato. Invece Trieste, dopo un avvio complicato, ha protetto Marco Legovich e la stagione giuliana è cambiata. Perchè?

«Può succedere che ci sia, per tanti motivi, necessità di avvicendar­e l'allenatore. Bravi i dirigenti di Trieste a non farlo. Se c'è felling tattico tra squadra e coach, e se il clima nell'ambiente è di fiducia reciproca, le mareggiate si superano. Serietà e lavoro pagano sempre».

Di quel Nico Mannion che lei dirottò verso la maglia azzurra cosa dice?

«Giudicarlo per la scorsa stagione sarebbe una cattiveria, visti i tanti problemi fisici che ha avuto. Io non l'ho mai allenato, ma vedo che ora ha ripreso il suo percorso di crescita. Nico dentro una squadra come la Virtus Bologna non potrà che migliorare ancora e maturare. Ha capito cosa è l'Italia: tanto esaltato prima e criticato poi. Diamogli tempo e sboccerà definitiva­mente».

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 ?? CIAMILLO ?? Karvel Anderson, 31 anni, bomber di Verona. Nella foto piccola, Pino Sacripanti (52). Sotto, Kruize Pinkins (29), ala di Scafati
CIAMILLO Karvel Anderson, 31 anni, bomber di Verona. Nella foto piccola, Pino Sacripanti (52). Sotto, Kruize Pinkins (29), ala di Scafati

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