IL MONDIALE L’HA VINTO IL MA-ROCCO
L’unica novità del Qatar 2022 è la riscoperta del Catenaccio & Contropiede, nato svizzero e storicamente diventato italiano
Carissimo Cucci, il vincitore indiscusso del mondiale è il contropiede, quello duro e puro di Viani, Rocco ed Helenio Herrera, che ha trovato nella mediocrità tendente al basso del torneo iridato un terreno ideale per riaffermarsi. Chi lo chiama ripartenza usa un risibile termine per negare il suo vero nome a un sistema di gioco che è sopravvissuto ad ogni tentativo di ghettizzazione edèfondamentalenelcalciomoderno. Ripartenza è un tentativo patetico di far credere che sia qualcosa di diverso dal contropiede, considerato una parolaccia impronunciabile perché scomoda prova del fallimento di barocchi sistemi di gioco che hanno finalità improduttive come il possesso di palla ed il numero di passaggi. È come preferire l’onanismoallapenetrazione.Hovisto tanti Mondiali, Maestro. Il primo nel 1954: Germania-Ungheria, la grande Ungheria. Quello da poco conclusosi è stato tra i più deludenti, perché non ha portato “aliquid novi”, qualche elemento di progresso tecnico, ma solo tediose riproposizioni di un calcio di retrovia rispetto a quello dei maggiori campionati. La avvincente finale è stata tale per prodezze dei campioni, contropiede fulminanti, errori difensivi, rigori causati da interventi dilettanteschi, non certo per qualità dei collettivi. Questo Mondiale ha portato anche un lutto, la fine del finto centravanti, il cui funerale è stato un unicum con quello della suicida Spagna. Una squadra senza centravanti è come uno stallone senza membro essenziale. Spinge, spinge, ma non va da nessuna parte. Un grande dolore per gli addetti ai lavori avvezzi a riempirsi la bocca con inutili esotismi come “falso nueve“o “garra”, illudendosi di esibire in tal modo grande competenza calcistica. Ci vuole ben altro. È d’accordo?
NAntonio Maria Ioli notariato.it
on sono d’accordo, caro Ioli, solo quando scrive che l’ultimo Mondiale «è stato tra i più deludenti, perché non ha portato aliquid novi». Me la caverei, da romagnolo come lei, citando il Poeta, «c’è qualcosa di nuovo, oggi, nel sole, anzi d’antico», come avrebbe scritto da Doha il nostro inviato Giovanni Pascoli; basterebbero, queste poche parole, per esprimere il mio pensiero che vado diffondendo da decenni presentandomi - a rischio insulto, soprattutto dai qualunquisti ispanici - come pervicace Catenacciaro. La novità del Mondiale 2022 è proprio nel ritorno studiato - non casuale o disperato - dell’ormai biblico Catenaccio & Contropiede ch’è secondo tanti una schifezza, salvo saperlo e applaudirlo grimaldello usato da Mourinho per la conquista del Triplete. Interpellato vivacemente nei giorni del Qatar ho intanto ricordato a chi non lo sapeva che l’iniqua “invenzione” del Catenaccio appartiene storicamente non all’Italia ma alla Svizzera dov’è nato dal genio produttivo dell’allenatore austriaco Karl Rappan che per primo ha sviluppato i presupposti del Verrou (case tenaccio in francese). Non per lei, Ioli, ma per coloro che non lo sapessero, riporto questa sommaria informazione dalla Treccani, firmata dall’amico Salvatore Lo Presti: «Buon difensore e poi allenatore di successo grazie al suo grande senso pratico, Karl Rappan è stato l’inventore del verrou, l’equivalente dell’italiano “catenaccio”: dispositivo tattico consistente nel piazzare un uomo “libero” dietro ai difensori d’uomo, che venne adottato presto anche in Italia, con qualche correttivo, da Viani alla Salernitana, da Rocco alla Triestina e soprattutto da Foni all’Inter. Rappan, oltre ad aver ottenuto molte vittorie in Svizzera, alla guida di Servette, Grasshopper e Losanna, è stato commissario tecnico della nazionale elvetica a più riprese e in occasione di due Mondiali, ottenendo risultati di un certo livello (come i successi sul Portogallo e una Germania nel corso dei Mondiali del 1938 e una clamorosa vittoria in amichevole sugli inglesi nello stesso anno). Dirigente appassionato e creativo, Rappan promosse anche il torneo estivo interclub chiamato inizialmente Coppa Rappan, approvato nel 1961 dall’UEFA e diventato successivamente Intertoto».
Nella realtà, il Catenaccio diventa propriamente “Calcio all’Italiana” grazie alla diffusione giornalistica data da Gianni Brera all’adattamento di Gipo Viani (quindi Vianema, tecnica di gioco tenuta a battesimo dalla Salernitana nella seconda metà degli anni 1940 su suggerimento dell’attaccante Antonio Valecontro a Gipo). La messa in pratica fu soprattutto merito di Nereo Rocco nel biancorosso periodo padovano: il parón era un vero artista e le sue stagioni possono essere ricordate in chiave picassiana, rossonera al Milan, granata al Toro… fino al recentissimo rossoverde esibito da Walid Regragui in particolare ai danni della sprecona Spagna: il divertente e temibile Marocco che mi piacerebbe ricordare come MA-ROCCO.
Me li sono rivisti, tre film mandati a memoria non solo da giornalista ma - almeno i primi due da fortunato viaggiatore. Ritrovo Argentina 1978 con i suoi eroi: Fillol, Olguín, Galván, Passarella, Tarantini, Ardiles, Gallego, Kempes, Bertoni, Ortiz, Luque. Il momento magico di quell’Argentina è rappresentato dall’in
tra Menotti e il Matador Mario Kempes, giocatore moderno, malleabile, goleador. Scrissi: «Una vittoria giusta, conquistata dalla squadra di Cesar Luis Menotti, non dalla polizia di Jorge Rafael Videla e neppure dei tifosi (…) Entusiasmo alle stelle prima della partita, con una pioggia di “papelitos” eppoi gioia frenetica al primo gol di Kempes, il fantastico “matador” argentino, l’unica vera stella di questo Mundial di cui - con sei gol - si è laureato anche capocannoniere…».
Argentina di Messico 1986 l’ho raccontata in un libro ancora reperibile (“Il mio mondo”) e l’ho vissuta accanto a Maradona che scriveva settimanalmente sul mio “Guerin Sportivo” che immortalava anche le sue massime imprese: la Mano de Diòs fotografata in esclusiva da Bob Thomas e il Magico Slalom. La formazione vincente - Pumpido; Ruggeri, Cuciuffo, Brown, Olarticoechea; Giusti, Batista, Enrique; Burruchaga (Trobbiani), Maradona, Valdano - conferma che quel Mondiale Diego lo vinse da solo grazie all’intelligenza del “Narichòn” Bilardo che lo lasciò libero di esprimere la sua grandezza. Ritrovo questa “fotografia” del suo capolavoro, lo Slalom: «Héctor Enrique passa una palletta innocua a Maradona una decina di metri dentro la propria metà campo, Diego la raccoglie e fila verso la porta: in 10 secondi percorre 60 metri, salta Hoddle, Reid, Sansom, Butcher, Fenwick, il portiere Shilton, e appoggia in rete per il 2-0. La partita finisce lì. E il gol di Lineker all’81’ cambierà solo il risultato in 2-1.
In questi 10 secondi da leggenda la porta è il fine supremo cui tende l’opera d’arte». Ecco Argentina 2022: Martinez; Molina, Romero, Otamendi, Tagliafico; Di Maria, De Paul, Fernandez, Mac Allister;
Messi, Alvarez. All’Albiceleste ho dedicato questa nota: «Ha vinto Messi ma non ha perso Mbappé, più stella che mai perché la sua luce illuminerà il futuro. Perché è lui - senza scomodare Pelé e Maradona - l’erede diretto di Messi che è arrivato a chiudere la sua monumentale pratica sconfiggendo non la Francia e le altre seminate per strada, non Mbappé ma l’eterno rivale Cristiano Ronaldo. Sì, il conto s’è chiuso, è passata agli atti e in archivio - una delle grandi storie del calcio».
E dunque la risposta, forse banale ma veritiera: essenziale Kempes nel ‘78, fondamentale Messi nel 2022, storico e irripetibile Maradona ‘86.
Mi disse un giorno Brera: «Mi copiano spesso, raramente mi citano». L’accusa non mi riguardava: allora - come oggi - ho l’abitudine di citarlo perché il suo linguaggio è inconfondibile e chi se n’appropria fa la figura del coglione. Il giorno in cui se n’è andato dirigevo questo giornale e ho scritto: «Non lascia eredi»: l’eredità è nei suoi scritti e nelle sue parole; citandolo ricordo con nostalgia i lunghi anni e i tanti viaggi vissuti con lui dai giorni in cui lo seguivano Angelo Pinasi e Gian Maria Gazzaniga, i dioscuri del “Giorno” che confrontavano insistentemente e vivacemente le loro contrastanti opinioni finchè Giovanni non li zittiva con un mormorato o esclamativo “mucala”. Poi diceva la sua. Era giornalismo.