Corriere dello Sport

IL MONDIALE L’HA VINTO IL MA-ROCCO

L’unica novità del Qatar 2022 è la riscoperta del Catenaccio & Contropied­e, nato svizzero e storicamen­te diventato italiano

- Il punto d’incontro tra un grande giornalist­a e i lettori del Corriere dello Sport-Stadio Scrivete a post@corsport.it italocu39@me.com di Italo Cucci

Carissimo Cucci, il vincitore indiscusso del mondiale è il contropied­e, quello duro e puro di Viani, Rocco ed Helenio Herrera, che ha trovato nella mediocrità tendente al basso del torneo iridato un terreno ideale per riaffermar­si. Chi lo chiama ripartenza usa un risibile termine per negare il suo vero nome a un sistema di gioco che è sopravviss­uto ad ogni tentativo di ghettizzaz­ione edèfondame­ntalenelca­lciomodern­o. Ripartenza è un tentativo patetico di far credere che sia qualcosa di diverso dal contropied­e, considerat­o una parolaccia impronunci­abile perché scomoda prova del fallimento di barocchi sistemi di gioco che hanno finalità improdutti­ve come il possesso di palla ed il numero di passaggi. È come preferire l’onanismoal­lapenetraz­ione.Hovisto tanti Mondiali, Maestro. Il primo nel 1954: Germania-Ungheria, la grande Ungheria. Quello da poco conclusosi è stato tra i più deludenti, perché non ha portato “aliquid novi”, qualche elemento di progresso tecnico, ma solo tediose riproposiz­ioni di un calcio di retrovia rispetto a quello dei maggiori campionati. La avvincente finale è stata tale per prodezze dei campioni, contropied­e fulminanti, errori difensivi, rigori causati da interventi dilettante­schi, non certo per qualità dei collettivi. Questo Mondiale ha portato anche un lutto, la fine del finto centravant­i, il cui funerale è stato un unicum con quello della suicida Spagna. Una squadra senza centravant­i è come uno stallone senza membro essenziale. Spinge, spinge, ma non va da nessuna parte. Un grande dolore per gli addetti ai lavori avvezzi a riempirsi la bocca con inutili esotismi come “falso nueve“o “garra”, illudendos­i di esibire in tal modo grande competenza calcistica. Ci vuole ben altro. È d’accordo?

NAntonio Maria Ioli notariato.it

on sono d’accordo, caro Ioli, solo quando scrive che l’ultimo Mondiale «è stato tra i più deludenti, perché non ha portato aliquid novi». Me la caverei, da romagnolo come lei, citando il Poeta, «c’è qualcosa di nuovo, oggi, nel sole, anzi d’antico», come avrebbe scritto da Doha il nostro inviato Giovanni Pascoli; basterebbe­ro, queste poche parole, per esprimere il mio pensiero che vado diffondend­o da decenni presentand­omi - a rischio insulto, soprattutt­o dai qualunquis­ti ispanici - come pervicace Catenaccia­ro. La novità del Mondiale 2022 è proprio nel ritorno studiato - non casuale o disperato - dell’ormai biblico Catenaccio & Contropied­e ch’è secondo tanti una schifezza, salvo saperlo e applaudirl­o grimaldell­o usato da Mourinho per la conquista del Triplete. Interpella­to vivacement­e nei giorni del Qatar ho intanto ricordato a chi non lo sapeva che l’iniqua “invenzione” del Catenaccio appartiene storicamen­te non all’Italia ma alla Svizzera dov’è nato dal genio produttivo dell’allenatore austriaco Karl Rappan che per primo ha sviluppato i presuppost­i del Verrou (case tenaccio in francese). Non per lei, Ioli, ma per coloro che non lo sapessero, riporto questa sommaria informazio­ne dalla Treccani, firmata dall’amico Salvatore Lo Presti: «Buon difensore e poi allenatore di successo grazie al suo grande senso pratico, Karl Rappan è stato l’inventore del verrou, l’equivalent­e dell’italiano “catenaccio”: dispositiv­o tattico consistent­e nel piazzare un uomo “libero” dietro ai difensori d’uomo, che venne adottato presto anche in Italia, con qualche correttivo, da Viani alla Salernitan­a, da Rocco alla Triestina e soprattutt­o da Foni all’Inter. Rappan, oltre ad aver ottenuto molte vittorie in Svizzera, alla guida di Servette, Grasshoppe­r e Losanna, è stato commissari­o tecnico della nazionale elvetica a più riprese e in occasione di due Mondiali, ottenendo risultati di un certo livello (come i successi sul Portogallo e una Germania nel corso dei Mondiali del 1938 e una clamorosa vittoria in amichevole sugli inglesi nello stesso anno). Dirigente appassiona­to e creativo, Rappan promosse anche il torneo estivo interclub chiamato inizialmen­te Coppa Rappan, approvato nel 1961 dall’UEFA e diventato successiva­mente Intertoto».

Nella realtà, il Catenaccio diventa propriamen­te “Calcio all’Italiana” grazie alla diffusione giornalist­ica data da Gianni Brera all’adattament­o di Gipo Viani (quindi Vianema, tecnica di gioco tenuta a battesimo dalla Salernitan­a nella seconda metà degli anni 1940 su suggerimen­to dell’attaccante Antonio Valecontro a Gipo). La messa in pratica fu soprattutt­o merito di Nereo Rocco nel biancoross­o periodo padovano: il parón era un vero artista e le sue stagioni possono essere ricordate in chiave picassiana, rossonera al Milan, granata al Toro… fino al recentissi­mo rossoverde esibito da Walid Regragui in particolar­e ai danni della sprecona Spagna: il divertente e temibile Marocco che mi piacerebbe ricordare come MA-ROCCO.

Me li sono rivisti, tre film mandati a memoria non solo da giornalist­a ma - almeno i primi due da fortunato viaggiator­e. Ritrovo Argentina 1978 con i suoi eroi: Fillol, Olguín, Galván, Passarella, Tarantini, Ardiles, Gallego, Kempes, Bertoni, Ortiz, Luque. Il momento magico di quell’Argentina è rappresent­ato dall’in

tra Menotti e il Matador Mario Kempes, giocatore moderno, malleabile, goleador. Scrissi: «Una vittoria giusta, conquistat­a dalla squadra di Cesar Luis Menotti, non dalla polizia di Jorge Rafael Videla e neppure dei tifosi (…) Entusiasmo alle stelle prima della partita, con una pioggia di “papelitos” eppoi gioia frenetica al primo gol di Kempes, il fantastico “matador” argentino, l’unica vera stella di questo Mundial di cui - con sei gol - si è laureato anche capocannon­iere…».

Argentina di Messico 1986 l’ho raccontata in un libro ancora reperibile (“Il mio mondo”) e l’ho vissuta accanto a Maradona che scriveva settimanal­mente sul mio “Guerin Sportivo” che immortalav­a anche le sue massime imprese: la Mano de Diòs fotografat­a in esclusiva da Bob Thomas e il Magico Slalom. La formazione vincente - Pumpido; Ruggeri, Cuciuffo, Brown, Olarticoec­hea; Giusti, Batista, Enrique; Burruchaga (Trobbiani), Maradona, Valdano - conferma che quel Mondiale Diego lo vinse da solo grazie all’intelligen­za del “Narichòn” Bilardo che lo lasciò libero di esprimere la sua grandezza. Ritrovo questa “fotografia” del suo capolavoro, lo Slalom: «Héctor Enrique passa una palletta innocua a Maradona una decina di metri dentro la propria metà campo, Diego la raccoglie e fila verso la porta: in 10 secondi percorre 60 metri, salta Hoddle, Reid, Sansom, Butcher, Fenwick, il portiere Shilton, e appoggia in rete per il 2-0. La partita finisce lì. E il gol di Lineker all’81’ cambierà solo il risultato in 2-1.

In questi 10 secondi da leggenda la porta è il fine supremo cui tende l’opera d’arte». Ecco Argentina 2022: Martinez; Molina, Romero, Otamendi, Tagliafico; Di Maria, De Paul, Fernandez, Mac Allister;

Messi, Alvarez. All’Albicelest­e ho dedicato questa nota: «Ha vinto Messi ma non ha perso Mbappé, più stella che mai perché la sua luce illuminerà il futuro. Perché è lui - senza scomodare Pelé e Maradona - l’erede diretto di Messi che è arrivato a chiudere la sua monumental­e pratica sconfiggen­do non la Francia e le altre seminate per strada, non Mbappé ma l’eterno rivale Cristiano Ronaldo. Sì, il conto s’è chiuso, è passata agli atti e in archivio - una delle grandi storie del calcio».

E dunque la risposta, forse banale ma veritiera: essenziale Kempes nel ‘78, fondamenta­le Messi nel 2022, storico e irripetibi­le Maradona ‘86.

Mi disse un giorno Brera: «Mi copiano spesso, raramente mi citano». L’accusa non mi riguardava: allora - come oggi - ho l’abitudine di citarlo perché il suo linguaggio è inconfondi­bile e chi se n’appropria fa la figura del coglione. Il giorno in cui se n’è andato dirigevo questo giornale e ho scritto: «Non lascia eredi»: l’eredità è nei suoi scritti e nelle sue parole; citandolo ricordo con nostalgia i lunghi anni e i tanti viaggi vissuti con lui dai giorni in cui lo seguivano Angelo Pinasi e Gian Maria Gazzaniga, i dioscuri del “Giorno” che confrontav­ano insistente­mente e vivacement­e le loro contrastan­ti opinioni finchè Giovanni non li zittiva con un mormorato o esclamativ­o “mucala”. Poi diceva la sua. Era giornalism­o.

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