Corriere dello Sport

LUI E DIEGO FUORICLASS­E PER SEMPRE

Non si sono mai amati: uno il contrario dell’altro Nero e bianco e non poteva essere altrimenti Anche in campo sono stati sempre agli antipodi Ma resteranno inarrivabi­li Bravo ragazzo il primo, eterno ribelle il secondo. Uno talentuoso e tranquilli­zzante,

- Di Massimilia­no Gallo

Non si sono mai amati. L’uno il contrario dell’altro. E il paradosso ha voluto che l’uomo dell’establishm­ent, del politicame­nte corretto, fosse nero. Il ribelle, il cattivo esempio, è sempre stato il bianco. Calcistica­mente il dibattito sarà infinito. In Italia se ne occupò persino Limes rivista di geopolitic­a, fiore all’occhiello dell’intellighe­nzia nostrana. Figuriamoc­i se possiamo risolverlo noi. A Napoli ci provarono con una canzone divenuta celebre per il suo primo verso: Maradona è meglio ‘e Pelé.

Edson Arantes do Nascimento è stato la prima rockstar del mondo del calcio. Ha anticipato i Beatles. Incarnava il bravo ragazzo, perfetto da sposare. Idolo delle ragazzine e delle mamme. Pelé incantò ai Mondiali del 1958, con la grazia, il sorriso e l’ingenua spavalderi­a di un ragazzo di diciotto anni catapultat­o in un Paese lontano: la Svezia. Fu lui a esorcizzar­e la maledizion­e brasiliana del Mondiale, a regalare la gioia a un Paese ancora sotto shock per il Maracanazo del 1950. Invertì il corso della storia. La leggenda del Brasile è nata con lui. In finale segnò due gol agli svedesi di Liedholm, uno da antologia con un sombrero al centro dell’area di rigore. È ancora oggi uno dei più belli della storia del football. Fu quello l’anno in cui salì sulla giostra e non ne scese più. Giostra calcistica e commercial­e. Le aziende cominciaro­no a contenders­elo. Lui sfoderava il sorriso. E i prodotti vendevano. Talentuoso. Bello. Vincente. Elegante. Tranquilli­zzante. Pelé era un perfetto testimonia­l, un uomo copertina. Non a caso l’America lo ingaggiò per promuovere il calcio a stelle e strisce. Andò a giocare nei Cosmos e vinse anche lì.

Maradona, invece, di rassicuran­te non aveva proprio nulla. Né tantomeno di elegante. Esteticame­nte trascurabi­le (fuori dal campo, ovviamente), per alcuni impresenta­bile, con quel pallone faceva di tutto. Aveva il carisma del leader. Al pari di Muhammad Ali, è stato un leader politico prestato allo sport. Perennemen­te

all’opposizion­e. Decisament­e più Rolling Stones che Beatles. O forse sarebbe più corretto paragonarl­o a Jim Morrison. Sempre in guerra con i potenti. Dalla parte del pueblo. A lui gli Stati Uniti negarono il visto. Alla perenne ricerca di sfide impossibil­i. Era divisivo, sempre. E se ne vantava: “Yo soy blanco o negro, gris no voy a ser en mi vida”. Il Mondiale non l’ha vinto certo con Garrincha Didì Vavà oppure Tostao, Rivelino e Carlos Alberto. Forse non si sarebbe nemmeno divertito a conquistar­lo così. Diego aveva bisogno di ascoltare il rumore dell’epica, oltre che dei nemici, di avvertire sulla propria pelle quella sensazione di essere in lotta da solo contro tutti.

Pelé è stato l’indiscusso primo violino di un’orchestra straordina­ria. Brasiliano nel tocco, europeo nella testa. Messico 70 fu il suo capolavoro, il successo che lo consegnò all’immortalit­à. Quel Mondiale rischiò di non giocarlo. Non andava per niente d’accordo con il ct Joao Saldanha comunista e giornalist­a. Il tecnico lo accusò di avere problemi alla vista. Nacque uno scontro aspro che finì, ovviamente, con il licenziame­nto dell’allenatore. Pelé giocò quei Mondiali e fu grande protagonis­ta. Non segnò due gol storici nel giro di dodici minuti, come Diego nell’86. Ma realizzò il primo gol della finale, immortalat­o nella celebre foto in cui salta su Burgnich. E non solo. Grazie a un suo colpo di testa, Gordon Banks firmò quella che è stata votata come la parata del secolo. E timbrò il gol sbagliato più bello della storia del calcio: quella corsa ad aggirare il portiere dell’Uruguay che vide sfilare il pallone alla sua sinistra e Pelè alla destra. Poi il ricongiung­imento e il tiro che accarezzò il palo.

Nella contesa tra le due fazioni, prima o poi riemerge sempre un dato: Pelé ha giocato sempre e solo in Brasile, lontano dalle asprezze del calcio europeo. Sul suo cammino non ha mai incontrato un Goigoechea, per capirci. Quando, ai Mondiali del 1966, conobbe le marcature strette del bulgaro Zekov prima e dei portoghesi poi, dichiarò che non avrebbe più giocato in Coppa del Mondo. Diego ha primeg

giato nel calcio più violento e permissivo che si ricordi. «Negli anni Ottanta l’espulsione era prevista solo per l’omicidio», ha recentemen­te dichiarato Schuster.

Sul terreno di gioco non si sono mai potuti sfidare. Pelé si è ritirato quando Diego cominciava a sbocciare. Era il 1977. In compenso, però, se ne sono dette tante fuori dal campo. Pelé lo definì diseducati­vo, arrivò a chiedere che gli fossero tolti i titoli vinti «come fanno agli atleti trovati positivi alle Olimpiadi». Diego gli rinfacciav­a di stare sempre dalla parte dei potenti e poiché allora il dibattito sull’omofobia non si sapeva cosa fosse, lo accusò di omosessual­ità, di aver perduto la verginità con un uomo. Cane e gatto. Sempre. Con rari momenti di tregua quando, ad esempio, il figlio di Pelé fu arrestato per droga.

Nel 2014, la Fifa consegnò al brasiliano il Pallone d’oro ad honorem. Diego non la prese benissimo. «Io vivo a Dubai disse - Pelé vive nella Fifa». E ancora: «Sarà sempre ricordato come il secondo miglior calciatore dopo Maradona e, nel suo paese, come il miglior sportivo dopo Senna».

Hanno proseguito fino alla fine. Persino la politica brasiliana li ha divisi. Dieci giorni prima che Diego morisse, Pelé si schierò pubblicame­nte per Bolsonaro. Maradona, invece, sosteneva Lula. Anche il brasiliano ha avuto la sua figlia illegittim­a, senza però che la madre annunciass­e l’evento al telegiorna­le.

Se lassù dovesse esserci una squadra, siamo certi che giocherebb­ero entrambi con la maglia numero 10. Per non continuare a litigare.

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 ?? ?? 1958 Primo Mondiale dei record: il più giovane ad avere mai giocato una partita della fase finale, aver realizzato una tripletta e vinto la coppa
1958 Primo Mondiale dei record: il più giovane ad avere mai giocato una partita della fase finale, aver realizzato una tripletta e vinto la coppa

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