La Roma di Mou «Una» e «Bina»
Mourinho il torero, Zalewski il dardo più acuminato, Dybala la stoccata finale. Olé, la corrida è servita. La Fiorentina si accascia come l’ultima vittima della scientifica tauromachia portoghese e muore con l’inconsapevolezza del toro, chiedendosi perché. Ha dominato nel possesso palla per venticinque minuti, incapace di finalizzare, ma si è illusa quel tanto che basta di potersi giocare una partita alla pari, contro una Roma acquattata nella sua tre quarti. Poi, l’imperdonabile errore di Dodo che la scopre ai fianchi e che, tuttavia, non è casuale ma frutto di una precisa strategia. Che Mourinho consegna alla missione del suo cresciutissimo esterno italo-polacco. Zalewski risponde con la velocità, l’astuzia, il tempismo di un guastatore e i viola cascano nell’agguato.
Il resto è il colpo magistrale assestato con la fionda dal sinistro argentino, che schiaffeggia la palla dall’alto verso il basso e compie un altro prodigio. Poi, in undici contro dieci, l’egemonia giallorossa torna a essere prudenza assoluta e controllo del vantaggio. A otto dalla fine arriva il bis del duo Abraham-Dybala, confermando un’inversione dei ruoli che assegna al generoso e più modesto inglese il compito di mettersi al servizio del fuoriclasse sudamericano. Ma è grasso che cola, di cui Mourinho potrebbe anche fare a meno, convinto com’è che non sia necessario ammazzare il toro due volte, e tuttavia va bene se ti capita di farlo. Questo per dire che non esiste un modulo più sfacciatamente opportunistico e un’applicazione più matematicamente raziocinante di quelli dello Special One. Per cui l’estetica è solo il riflesso dell’utilità. Così è, se vi piace.
E che piaccia lo dimostra il diciannovesimo «sold out» dell’Olimpico per assistere a un’altra meravigliosamente brutta partita della Roma, che vince con una squadra modesta, incompleta nei ruoli, e tuttavia capace di rendere ininfluenti gli acciacchi di Pellegrini, l’immaturità di Bove, le lacune di Celik, l’assenza ormai istituzionale di Wijnaldum, l’inconcludenza di Zaniolo. Perché nessuno di questi limiti intacca l’esattezza dell’esecuzione e la robustezza del carattere che Mourinho ha iniettato nel gruppo.
Dybala è perfettamente sintonizzato con lo spirito del suo mentore portoghese, che lo ha strappato alla disoccupazione con un contratto di «appena» quattro milioni e mezzo, più bonus. L’argentino non spreca uno scatto, amministrando le energie con un’austerity virtuosa, non cede ai gigionismi del Divo, quale pure è, concentra il suo genio tecnico ed emotivo nelle sole occasioni decisive, che sfrutta alla perfezione. La Roma è «Una» e «Bina», mente che ispira il corpo e corpo che si fa mente, Mourinho e Dybala allo stesso modo. L’uno pensa, l’altro esegue pensando come il primo. Tutto il resto è contorno. Chissà che rimugina oggi la dirigenza bianconera, che ha gettato via un primo piatto così succulento, e con il solo contorno è rimasta.
La Fiorentina è invece l’immagine dell’incompletezza, una squadra che palleggia quasi come il Napoli, ispirata da uno straordinario Amrabat, ma priva di un attacco adeguato alla serie A. Contro questa mancanza l’intuizione tattica di un tecnico capace come Italiano si fa frustrazione. E naufraga.