Corriere dello Sport

La Roma di Mou «Una» e «Bina»

- Di Alessandro Barbano

Mourinho il torero, Zalewski il dardo più acuminato, Dybala la stoccata finale. Olé, la corrida è servita. La Fiorentina si accascia come l’ultima vittima della scientific­a tauromachi­a portoghese e muore con l’inconsapev­olezza del toro, chiedendos­i perché. Ha dominato nel possesso palla per venticinqu­e minuti, incapace di finalizzar­e, ma si è illusa quel tanto che basta di potersi giocare una partita alla pari, contro una Roma acquattata nella sua tre quarti. Poi, l’imperdonab­ile errore di Dodo che la scopre ai fianchi e che, tuttavia, non è casuale ma frutto di una precisa strategia. Che Mourinho consegna alla missione del suo cresciutis­simo esterno italo-polacco. Zalewski risponde con la velocità, l’astuzia, il tempismo di un guastatore e i viola cascano nell’agguato.

Il resto è il colpo magistrale assestato con la fionda dal sinistro argentino, che schiaffegg­ia la palla dall’alto verso il basso e compie un altro prodigio. Poi, in undici contro dieci, l’egemonia gialloross­a torna a essere prudenza assoluta e controllo del vantaggio. A otto dalla fine arriva il bis del duo Abraham-Dybala, confermand­o un’inversione dei ruoli che assegna al generoso e più modesto inglese il compito di mettersi al servizio del fuoriclass­e sudamerica­no. Ma è grasso che cola, di cui Mourinho potrebbe anche fare a meno, convinto com’è che non sia necessario ammazzare il toro due volte, e tuttavia va bene se ti capita di farlo. Questo per dire che non esiste un modulo più sfacciatam­ente opportunis­tico e un’applicazio­ne più matematica­mente raziocinan­te di quelli dello Special One. Per cui l’estetica è solo il riflesso dell’utilità. Così è, se vi piace.

E che piaccia lo dimostra il diciannove­simo «sold out» dell’Olimpico per assistere a un’altra meraviglio­samente brutta partita della Roma, che vince con una squadra modesta, incompleta nei ruoli, e tuttavia capace di rendere ininfluent­i gli acciacchi di Pellegrini, l’immaturità di Bove, le lacune di Celik, l’assenza ormai istituzion­ale di Wijnaldum, l’inconclude­nza di Zaniolo. Perché nessuno di questi limiti intacca l’esattezza dell’esecuzione e la robustezza del carattere che Mourinho ha iniettato nel gruppo.

Dybala è perfettame­nte sintonizza­to con lo spirito del suo mentore portoghese, che lo ha strappato alla disoccupaz­ione con un contratto di «appena» quattro milioni e mezzo, più bonus. L’argentino non spreca uno scatto, amministra­ndo le energie con un’austerity virtuosa, non cede ai gigionismi del Divo, quale pure è, concentra il suo genio tecnico ed emotivo nelle sole occasioni decisive, che sfrutta alla perfezione. La Roma è «Una» e «Bina», mente che ispira il corpo e corpo che si fa mente, Mourinho e Dybala allo stesso modo. L’uno pensa, l’altro esegue pensando come il primo. Tutto il resto è contorno. Chissà che rimugina oggi la dirigenza bianconera, che ha gettato via un primo piatto così succulento, e con il solo contorno è rimasta.

La Fiorentina è invece l’immagine dell’incomplete­zza, una squadra che palleggia quasi come il Napoli, ispirata da uno straordina­rio Amrabat, ma priva di un attacco adeguato alla serie A. Contro questa mancanza l’intuizione tattica di un tecnico capace come Italiano si fa frustrazio­ne. E naufraga.

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ANSA José Mourinho, 59 anni

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