Corriere dello Sport

Maifredi, Max e due manite molto simili

- Di Roberto Beccantini

Tra il 5-1 che il Napoli «di» Diego Armando Maradona inflisse alla Juventus di Gigi Maifredi nella Supercoppa del 1° settembre 1990 e il 5-1 che il Napoli «al» Diego Armando Maradona ha rifilato alla Juventus di Massimilia­no Allegri il 13 gennaio 2023 ballano un sacco di emozioni, di suggestion­i, di paradossi. Trentadue anni e spiccioli non sono uno sbadiglio della storia.

Tanto per cominciare, allora vinse l’idolo, il Pibe; non il tecnico, Alberto Bigon. Oggi, l’idea: l’allenatore. Luciano Spalletti, che il sentimento popolare abbina ai cali nei gironi di ritorno, ha trasformat­o un mercato di dubbi precoci e feroci (non adesso, naturalmen­te, da osservator­i cinici e un po’ vigliacchi quali siamo) in una bella squadra, e la bella squadra nella più europea del catalogo. Inoltre, il fiasco dell’orso bresciano e della sua zona-champagne, una stagione e a casa, porta a Maurizio Sarri, la cui rivoluzion­e «estetica» scosse Napoli ma non Torino, in barba al nono e ultimo scudetto, per le ragioni che l’abate di Certaldo ha illustrato alla vigilia: il concetto sabaudo di fabbrica (e, dunque, di produzione a «tutti» i costi) contro il «Funiculì, funiculà!» più forte, a volte, dei poteri forti.

La doppia «manita» ha fissato confini solidi e abbastanza (in)soliti, con la cronaca pronta, appena può o glielo permettono, a rovesciare, giuliva, le differenze di censo. In fin dei conti, la sentenza di venerdì sa di «dimissioni» imposte: come quelle di Andrea Agnelli la sera di lunedì 28 novembre. Ma l’elemento più dirimente e divertente coinvolge proprio il «feticista dei risultati», secondo il magistrale guizzo della «Suddeutsch­e Zeitung». A rileggere le formazioni di partenza, spunta una finezza curiosa. E’ la Juventus che schiera più attaccanti, non il Napoli. Basta spulciare il tabellino e paragonare i ruoli, al netto del rendimento. Nel dettaglio: due ali (Khvicha Kvaratskhe­lia-Federico Chiesa e Matteo Politano-Filip Kostic), un centravant­i (Victor Osimhen-Arkadiusz Milik) e un «apolide», Angel Di Maria, decisament­e più offensivo di Piotr Zielinski, il più eclettico del centrocamp­o partenopeo.

Sembrava che Allegri volesse sfidarsi e sfidarci, mo’ ve lo faccio vedere io, gradasso e smargiasso, al diavolo il corto muso; sordo agli strali padani che gli avrebbe tirato Gianni Brera. C’era un problema, però. Anzi due: l’avversario e il Dna personale. Le otto vittorie senza gol al passivo erano scaturite da un certo modo di proporsi: attesa sistematic­a dei Godot di turno, sul pullman, per poi pizzicarli in prossimità del casello.

A Fuorigrott­a ha così battezzato una formazione più generica che genetica, un 3-5-1-1 che ha costretto Chiesa a fare il terzino su Kvara. Ora, anche nel City del Pep capita che Bernardo Silva e Phil Foden ripieghino, ma per esigenze legate alle circostanz­e, non per paura. Le fotte di Bremer non si discutono: ciò premesso, e più in generale, Maifredi e l’Allegri-bis, persino quando si traveste, hanno pagato e stanno pagando la schiavitù del pensiero unico. Da spogliarel­liste di Las Vegas o da suorine col rossetto, cambia poco: 5-1, sempre.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy