«Io, coach a soli 30 anni: incredibile»
Il tecnico più giovane del campionato si racconta Legovich: «Alleno la mia Trieste! Mi devo sforzare sempre perché il cuore non prevalga sulla testa»
C'è una faccia giovane tra i coach della serie A. E' quella di Marco Legovich, appena 30 anni compiuti lo scorso 15 settembre, che alla guida di Trieste sta scrivendo una bella pagina di sport in una serie A, dove l’età media dei tecnici è abbastanza alta.
Legovich lo sa che un altro allenatore, nato di settembre, ebbe l'incarico di capo allenatore a 30 anni?
«Ettore Messina? Non ricordavo che gli venne affidata la Virtus all'età in cui a me hanno consegnato le chiavi della squadra della mia città. Gran bella coincidenza ma, per favore, niente paragoni. Se mai mi diverte pensare che Pozzecco è nato come me il 15 di settembre, di qualche anno prima»
Si può essere profeti in patria a soli 30 anni?
«Iniziare ad allenare in A e farlo nella città natale, con il club per cui si tifa, è incredibile. Devo sempre fare uno sforzo in più perché il cuore non abbia il sopravvento sulla testa. Ci sto riuscendo. Ho accanto a me uno staff molto preparato. La squadra non sarà la più forte ma ha talento, entusiasmo e tanto cuore».
Dopo l'inizio difficile, quattro ko di fila, in pochi avrebbero scommesso un euro sul suo futuro, lo sa?
«So bene quali siano le regole dello sport italiano ma anche la grande forza ed integrità dei miei dirigenti. Mi conoscono da quando ero un ragazzino e sono diventato uomo crescendo e maturando a Trieste. Ho sempre sentito fiducia e stima. Alla lunga abbiamo iniziato a raccogliere risultati. Coppa Italia sfuggita per un soffio? Abbiamo perso un paio di partite ai supplementari e contro Brescia il possibile canestro della vittoria di Gaines è stato stoppato, ma va benissimo il cammino che abbiamo fin qui fatto».
Chi sono gli allenatori a cui si ispira?
«Il primo è Messina. Alla palla a due al Forum, invece di guardare i giocatori, mi sono voltato un attimo per cercare con lo sguardo il coach che mi ha segnato. Conservo gelosamente la copia del suo Libro “Il Basket”. E penso spesso ad una sua frase che ha detto: ci sono tanti bravi allenatori a cui non viene data un'opportunità. Trieste invece ha creduto in me".
Già da piccolo sognava di fare il coach?
«Giocavo, poi dopo tre lussazioni alle rotule ho saltato la barricata. In realtà il mio sogno di bambino era fare il telecronista sportivo. L'appuntamento con il basket sulla Rai, andava il secondo tempo, era per me un obbligo. E adoravo Franco Lauro".
E se non avesse allenato?
«Ho chiuso a doppia mandata in un cassetto la laurea in Economia e Commercio, indirizzo internazionale. La mia vita ora è la pallacanestro. Quella di alto livello certo, ma anche quella del lunedì pomeriggio, quando mi dedico con il preparatore Bonetta ai ragazzi disabili della Calicanto Onlus. La loro gioia è la nostra gioia».
Ci dice cosa è successo con Nicola nel balletto dei time out al termine della partita contro Treviso, sul +19 a 3” dalla fine?
«Nulla, lui ed io ci siamo capiti subito. La differenza canestri potrà essere decisiva, per noi e per loro. Così abbiamo chiesto sospensione uno dietro l'altro. Ma nessuna mancanza di rispetto. Ci mancherebbe».
Come vive il rapporto con la nuova proprietà americana?
«E’ una opportunità unica. Con il Gruppo Csg ci sarà la possibilità di confrontare ed integrare due mondi lontani geograficamente ma legati dallo sport. Potrà essere l'arma vincente per farci crescere ancora di più».
«Il mio sogno da bambino? Fare il telecronista sportivo»