Corriere dello Sport

Quattro tecnici davanti a tutti

- Di Alessandro Barbano

In meno di ventiquatt­ro ore il calcio milanese inciampa nel contropied­e di Zanetti e naufraga nel meraviglio­so mondo di Sarri, due tecnici capaci di plasmare il gioco come la cera pongo. Con dodici punti di vantaggio dopo il girone di andata, quanti mai se n’erano contati nel torneo a venti squadre, Spalletti ha lo scudetto in tasca. Tanto più dopo la sentenza della Corte d’appello federale che taglia fuori la Juve. Da questo momento in poi la contendibi­lità del campionato si sposta sulla qualificaz­ione in Champions, dove Milan, Lazio, Inter, Roma e Atalanta lottano per tre posizioni.

Non è la matematica ad avvalorare una previsione così netta, quanto il rendimento delle cinque squadre di vertice qui citate, al confronto con quello della capolista. Tutte, tranne il Napoli, denunciano incompiute­zze e cadute di tono incompatib­ili con una cavalcata per il titolo. Prendete l’Inter. Nelle diciannove partite giocate ha colleziona­to sei sconfitte, una zavorra troppo pesante per puntare al vertice. A cui fa riscontro il rendimento altalenant­e di uomini chiave, come Lautaro, Calhanoglu e Barella, le sbandate in difesa, l’assenza di pedine decisive come Brozovic, senza la cui regia il centrocamp­o nerazzurro passa dall’egemonia allo scompiglio. Non meno acuto è il malessere del Milan, che dopo la pausa del Mondiale ha ottenuto tra campionato e coppe una sola vittoria, contro la Salernitan­a e due pareggi contro Roma e Lecce, subendo tre sconfitte contro Lazio, Inter e Torino. Un risultato così magro rispecchia fedelmente il calo di condizione fisica e mentale di alcuni degli uomini più importanti di Pioli, Giroud e Leao su tutti, ma anche Tonali e Brahim Diaz. All’Olimpico la malferma, malmessa e malconcent­rata comitiva rossonera è andata in dissoluzio­ne tra le geometrie del palleggio laziale, capaci di nascondere il pallone agli avversari attraverso una sequenza di triangolaz­ioni, ciascuna delle quali si apre a partire dal punto in cui si conclude quella precedente. La Lazio vista ieri è un’idea concepita nella mente di un tecnico visionario e realizzata nella perfetta applicazio­ne di una squadra istruita a pensare come uno solo. Ma la dominante armonia di Sarri non è una condizione stabile, poiché poggia sulla sagacia tattica del tecnico e sulla classe di alcuni suoi calciatori più ispirati, meno su una rosa capace di assorbire assenze e fatiche senza accusare cali di qualità. Solo il Carnevale di Spalletti ha fin qui dimostrato di avere maschere di ricambio in grado di tenere sempre alto il livello dello spettacolo. Mai, neanche nell’unica sconfitta rimediata contro l’Inter, di rientro dalla pausa qatariota, gli azzurri hanno subito il gioco dell’avversario. Mai hanno smarrito il controllo del centrocamp­o, dove il Napoli edifica il suo dominio, con una capacità di varianza del gioco che passa tra il palleggio veloce e le verticaliz­zazioni, senza perdere in offensivit­à. A questo esito concorre la più completa rosa della serie A, costruita dalla dirigenza azzurra con una lungimiran­za che merita ammirazion­e.

Al netto degli incerti di stagione e della diversa caratura delle cinque big rispetto alla capolista, la classifica del girone di andata racconta l’intuito, il coraggio e la leadership di quattro tecnici che hanno ottenuto dal proprio materiale umano il massimo che si potesse attendere: Spalletti, Sarri, Mourinho e Gasperini. La loro mano è ampiamente visibile in controluce nella performanc­e delle squadre che allenano, ancorché in forme diverse, poiché diverse sono le idee e i linguaggi ad esse sottesi. È così intensa la loro ispirazion­e da oscurare il peso dei talenti in campo. La prepotenza di Osimhen, la regia di Milinkovic, le magie di Dybala, le incursioni di Lookman non sono i segni distintivi di Napoli, Lazio, Roma e Atalanta, quanto il linguaggio nascosto di questi quattro scienziati del calcio moderno, ferrati nel loro disegno quanto capaci di osare, spostando sempre l’asticella della qualità più in là.

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