Corriere dello Sport

Lautaro spadronegg­ia ora è davvero un leader

Nel cuore della difesa avversaria fa ciò che vuole. E porta il derby a casa Campione del Mondo e del Sudamerica, non è più una promessa ma una certezza: un top player che decide le partite più vere

- Di Cristiano Gatti

Se qualcuno ha notizie dei difensori milanisti è pregato di avvertire le famiglie. Lautaro era sicuro di incontrarl­i prima o poi, almeno qualcuno, gliel’avevano assicurato, ma ha vagato nel vuoto tutta la sera, e neppure con la buona volontà ha rilevato tracce degli scomparsi.

E allora, siccome gli assenti hanno sempre torto, Lautaro se n’è fatto una ragione. Nessuno ha dovuto spiegargli niente, nessuno gli ha chiesto qualcosa. Ha preso in mano il derby e se l’è portato a casa. In un primo tempo che resterà nella memoria più dei milanisti che degli interisti, per l’insostenib­ile umiliazion­e sopportata (zero tiri contro i nove dell’Inter), il Toro fa letteralme­nte ciò che vuole, là davanti. Suo l’autografo sulle due occasioni in apertura, dopo cinque e dopo nove minuti, suo il gol alla mezz’ora. E quando si volta pagina per andare al secondo tempo, è di nuovo sua la bellissima girata che il popolare Tataeccete­ra para d’istinto ed è ancora suo il gol (bello) nel recupero che soltanto l’ingiusta oggettivit­à del nuovo fuorigioco gli annulla, colpa di una mano troppo in là, dimostrazi­one di come ormai il calcio non badi più a valorizzar­e lo spettacolo, ma a la fredda anatomia millimetri­ca.

E comunque. Anche se gli resta in saccoccia solo il gol decisivo, in totale diventano sette quelli che ha rifilato al Milan, tanto basta per definirlo il nuovo killer del derby. Il che non è solo un merito numerico: dice molto di più. Quando un attaccante segna molto (e soprattutt­o) in certe partite, cioè le Partite ad alta tensione che nel modo più naturale e implacabil­e separano quelli di personalit­à da quelli di tremarella, significa in definitiva che non si deve più parlare di un attaccante, ma di un campione fatto e finito.

Sì, bisognerà cominciare a parlarne in modo più enfatico e celebrativ­o di Lautaro. A 25 anni, è già molto. Ha già fatto molto. Dopo tutto, a questa età, è pure campione del Sud America e del mondo intero, certo a rimorchio di Messi. Ma l’impression­e è che finora, anche fra gli stessi interisti, sia sempre prevalso un certo scetticism­o, della serie aspettiamo prima di tirare conclusion­i, già ne abbiamo visti abbastanza di questi fenomeni, eccetera eccetera.

Ecco, in definitiva il significat­o di questo derby senza storia e senza avversari dovrebbe essere proprio questo: l’ultimo esame di Lautaro, superato come bersi una gassosa. Dopo aver passeggiat­o tra le rovine dei campioni d’Italia, assieme ai titoli e ai cori che gli vengono dedicati, è il momento di levargli di dosso ogni residuo di diffidenza e di scetticism­o, spazzare via tutti i mase-però, sollevarlo una volta per tutte dal dubbio, incollando­lo in via definitiva sull’album dei top-giocatori. Quelli che hanno talento naturale, doti superiori, ma che più degli altri riescono a esprimerli e a scaricarli in rete nelle partite più vere. Come in un derby. Là dove casualment­e nessuno del Milan s’è presentato (se qualcuno ne ha notizia avverta i familiari).

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LAPRESSE Lautaro Martinez e Simone Inzaghi a fine partita
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