Corriere dello Sport

Semifinale Emilia

- Di Italo Cucci

uciano Spalletti sognava di farsi un caffé turco a Istanbul con Guardiola. Carlo Ancelotti, Stefano Pioli e Simone Inzaghi - lasciando perdere Pep - sarebbero disponibil­issimi a farsi all’ombra del Topkapi una bottiglia di Lambrusco, volendo anche un calice, ma chez nous, fra Reggiolo, Parma, Piacenza, le loro patrie, non usa. Solo coinvolgen­do la Romagna si potrebbe giusto cambiar vino, passando al Sangiovese. E non cito a caso la terra solatìa, il dolce paese che dette le origini a ben tre commissari tecnici della Nazionale - Fabbri, Vicini e Sacchi - per stabilire un dato di fatto inconfutab­ile: comincia a Rimini e finisce a Piacenza la mitica Via Emilia del Calcio, in altri tempi nota anche per motivi politici e tuttavia con lo stesso destino: Falce, Martello & Pallone con soddisfatt­e ambizioni internazio­nali.

Mi chiedono spesso perché questa terra sia così ricca di maestri del calcio. Potrei cavarmela in poche parole, sempliceme­nte citando il carattere curioso, operoso, generoso, riflessivo e permaloso insieme degli emiliano-romagnoli, aggiungend­o al cocktail uno spruzzo di narcisismo a uso donne, motori e football. Ma faccio meglio il mio dovere di cronista se vi dico cosa mi hanno insegnato gli undici tecnici che - compresi appunto i protagonis­ti di questa Champions - hanno uno spazio abbondante vedi miei Amarcord. Dedicando questa nota nostalgica a Gigi Simoni di Crevalcore, amico fraterno in tante piacevoli avventure, e a due compagni di strada in maglia rossoblù, Cesarino Cervellati da Baricella - detto “Cagaro” - e Attilio Santarelli da Faenza - detto “Lambrusco” - già portiere del Bologna “da paradiso”.

Comincio da Libero Zattoni, allenatore del Forlì primi anni Sessanta: per me resta il più colto e illuminato di tutti. Peccato gli mancasse l’ambizione. Mi spiegò il calcio come materia di studio. Poi Guido Mazzetti, il bolognese, che rappresent­ava l’irruenza, la verbosità e la durezza. Finché arrivò Edmondo Fabbri ad aprire la porta sul mondo (e lo chiamavamo Mondino, ma per la sua statura) dopo le imprese mantovane facendoci sognare fino all’incubo Corea 66. Nel frattempo, il cordiale incantator­e Renato Lucchi - cocco del Conte Rognoni - dava vita a un Cesena che più tardi avrebbe fatto un figurone in A con un altro emiliano, Eugenio Bersellini, il vignaiolo di Borgo Val di Taro. Maestro di tattica cordiale e di umiltà G.B. Fabbri da San Pietro in Casale che a Vicenza costruì Paolo Rossi convincend­olo dei suoi mezzi che lo fecero Pablito: i suoi giocatori lo ricordano come un padre. Come Azeglio Vicini, che nel 90 da verde fece diventare Azzurra forse la Nazionale più bella, in termini diversi come quella che allevò Arrigo Sacchi da Fusignano, maestro/compositor­e passato alla storia come il compaesano Arcangelo Corelli. È arrivato da Meldola, invece, patria dell’anarchico Felice Orsini (ghigliotti­nato a Parigi) il pacifico e laborioso Alberto Zaccheroni che senza strepiti ma con buonsenso avrebbe conquistat­o Milano e l’Oriente mentre da Ravenna prendeva il largo Davide Ballardini, dantesco specialist­a di battaglie infernali in zona salvezza.

Nel contempo si esibivano i fratelli Inzaghi di Piacenza, Pippo goleador egregio e tecnico avventuros­o, Simone dei due più vocato a guidare le sue squadre - Lazio e Inter - sulla scena europea, fino all’Euroderby di Champions. Come Stefano Pioli, il più sorprenden­te della compagnia che nel pieno della pandemia ha curato un Milan malaticcio e lo ha trasformat­o in una solida macchina da guerra. Fino a sentirsi paragonare con il Maestro che ho conosciuto ragazzo, pedatore di belle speranze, fino a vederlo allenatore di assoluta grandezza, talché oggi lo si chiama sempliceme­nte Ancelotti Real.

EMILIA-ROMAGNA

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