Corriere dello Sport

«L’idillio è sempre fragile ma io punto su Spalletti»

Parla Ottavio Bianchi il tecnico del titolo ’87 «Luciano ha capito subito Napoli e fa paura alle grandi europee Lo capisco, il successo travolge»

- Di Antonio Giordano

«Premessa». Premessa: accolta immediatam­ente, perché quando un galantuomo te l’impone con il garbo d’un sorriso, non si entra in contrappos­izione. «Io non do consigli e suggerimen­ti, mi verrebbe da dire chi sono io per farlo?». Quando Ottavio Bianchi risponde al telefono, dalla sua Bergamo Alta, s’afferra limpidamen­te la sua ammirazion­e per quel Napoli che gli è appartenut­o, per un’impresa che s’accomoda nella Storia al fianco del 10 maggio dell’87, del 29 aprile del ’90. È un tempo che si intreccia, epoche che si accarezzan­o. «E però parliamo di mondi distanti, perché quello era un calcio e questo è totalmente diverso».

Ma lei ha titolo per parlarne...

«Solo per ripetere ciò che dico da un po’: il Napoli ha riempito questa stagione di sé, della sua bellezza, delle sue enormi capacità che sono frutto di una fusione straordina­ria tra società, manager, allenatore e ambiente».

Manco il tempo di godersi una gioia che già viene spontaneo chiedersi: e ora?

«A me pare che la città stia giustament­e festeggian­do e lo farà ancora. Non è stato un successo banale ma straordina­rio, con numeri da far impallidir­e e un gioco autorevole e pure autoritari­o».

Leggende metropolit­ane applicate al calcio: vinci e scappa. Ma lei restò e rivinse ancora,adesempiol­aCoppaUefa,una Champions di quegli anni.

«Ogni stagione è diversa da quella precedente e da quella successiva. A volte pure da quella in corso. Pensi un po’ alla soddisfazi­one del Real e del City quando hanno scoperto che il Napoli non sarebbe stata un’avversaria. Io sospetto che si siano sentite più leggere, perché giocare contro Spalletti non sarebbe stato semplice».

Analogietr­aBianchieS­pallettise ne colgono e un po’ vi somigliate.

«Spero per lui di no».

Come Bianchi, lui vive da solo, però a Castel Volturno.

«Io ero in hotel, ma solo perché non esisteva Castel Volturno, altrimenti forse sarei stato lì. Spesso a cena con il direttore dell’albergo. Una volta a settimana con

quel fantastico personaggi­o che è stato il Petisso, dalla cui frequentaz­ione sono stato arricchito. Gli allenatori sono in genere uomini soli».

E tormentati: Spalletti non riesce, per sua stessa ammissione,agustareap­pienoilsuc­cesso. «Lo capisco, ci sono passato anch’io. Dalle vittorie si fugge, non hanno bisogno di essere dominate ma gestite, non creano onde da cavalcare, si rischia di essere sommersi. Un tecnico ha ruolo e responsabi­lità particolar­i, che lui rappresent­a alla perfezione. Ed è stato bravissimo in ogni situazione».

Si può dire che è l’uomo giusto per dar vita a un ciclo?

«Ciò che il Napoli ha dimostrato spinge a sbilanciar­si con un sì netto. Però, torniamo al discorso precedente, come fa a prevedere cosa possa succedere? L’idillio nasce attraverso il sacrificio e la programmaz­ione e si rompe in un attimo. Spalletti, De Laurentiis, Giuntoli e tutti i calciatori sono stati strepitosi ma le condizioni mutano e tu non te ne accorgi. Io non ho mai avuto certezze quando stavo in panchina, si figuri adesso. L’equilibrio è sottilissi­mo, all’allenatore vanno riconosciu­ti i suoi enormi meriti, che giustament­e ha condiviso con ogni componente».

«Io sono rimasto e ho vinto ancora però ogni stagione è una storia a sé»

C’èunaspetto­chediSpall­ettil’ha colpito più di un altro?

«Aver capito Napoli in fretta».

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MOSCA Ottavio Bianchi, 79

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