Il male al centro del gioco
Roberto Maida e le vite spezzate dei giocatori travolti dal destino: i segnati, i traditi, i campioni
Da Diego a Rogliani, un libro su chi ci ha colpito al cuore
Agostino Di Bartolomei e la sua domenica con il frisbee. Gaetano Scirea e gli esami da insegnante. Maradona e il microscopico concerto di Manu Chao. Gigi Meroni e l’amore proibito. Michele Rogliani e il termosifone del pianto. Denis Bergamini e le tenebre dell’anima. Davide Astori, Andrea Fortunato, Giulano Taccola, Luciano Re Cecconi e altri ancora, comprese le vittime, indimenticabili o senza nome, della peste sportiva chiamata Sla. Storie maledette del calcio, che è il titolo del libro e anche il marchio dell’assenza di memoria, della cancellazione e della negazione, dell’ombra nell’angolo della stanza durante la festa di compleanno.
Come dice un arguto collega: la trama è banale, alla fine muoiono tutti. È vero. E proprio qui sta il punto. La fine è nota e per Roberto Maida spesso non è neppure la fine della vicenda, è l’inizio, è il centro da cui scorre una narrazione a spirale. La morte in queste storie in parte rimosse in parte irrisolte è il buco nero in cui ogni cosa precipita, l’abisso che ti scruta mentre tu guardi altrove. Non resta che girarci intorno: non fingere che la catastrofe non esista, bensì cercare ciò che la rende fulcro di un’esistenza, ciò che le dà senso e concretezza. Senza illudersi che la strada possa portare altrove. Accadrà alle vite future, semmai, non a queste che si sono concluse nel pieno della celebrità o al tramonto dei ricordi oppure ancora nello slancio vitale della giovinezza più intensa. Tutte maledette, nessuna esemplare o didattica o edificante. Vicende umane che non pretendono di essere simbolo di niente, tanto meno intendono glorificare o condannare il calcio come sistema. Tra il destino e la fine a Maida interessa ciò che mostra il viaggio. Il dolore, la nostalgia, la società feroce nell’additare e isolare, l’amicizia e il sogno, gli anni di piombo e le età che sembravano d’oro finché non ti avvicinavi abbastanza alla patina splendente e ti accorgevi che ti restava sulle dita. E ovviamente il racconto della fatica e dei gol, delle parate e delle vittorie e delle sconfitte e di ciò che resta nella memoria di chi ha conosciuto quei calciatori travolti dallo scontro tra l’universo del gioco e la vita quotidiana.
Sono solo quattordici storie. Potrebbero essere mille. Ma a un certo punto devi fermarti e lasciare che il resto precipiti nel buco nero. Hai già fatto del tuo meglio. Sono solo quattordici storie e giunto alla fine del libro vorresti leggerne ancora. Oppure vorresti che non esistessero affatto storie simili da leggere, come vorresti che non esistessero l’angoscia, la violenza, il male.
Roberto Maida, Storie maledette del calcio. Diarkos, 324 pagine, 18 euro