Corriere dello Sport

Tutto il buono con qualche ruga in più

- Di Alessandro Barbano

Il patteggiam­ento con la procura federale, la disdetta del progetto della Superlega e, da ultimo, la conferma di Allegri. Il nuovo corso della Juve poggia su questi pilastri e racconta un realismo che non è una sordina alle ambizioni del club bianconero. Ma piuttosto la convinzion­e che grandi cambiament­i qualitativ­i talvolta conseguono a piccoli cambiament­i dei meccanismi regolatori, senza bisogno di continue rivoluzion­i il cui effetto è solo quello di azzerare, insieme con gli errori, il buono che si è fatto. Allegri questo buono lo incarna a pieno merito. Esce da questo controvers­o biennio con qualche ruga in più, ma anche con una leadership rafforzata dentro e fuori lo spogliatoi­o. Ha tenuto botta agli incerti di una stagione sui generis, ha ammortizza­to le tensioni, non ha mai ceduto alla tentazione di reagire oltre le righe di fronte agli attacchi gratuiti dei suoi detrattori, ha protetto la squadra nei momenti più difficili, e ha portato un terzo posto virtuale che, alle condizioni date, pare un miracolo. Non solo perché molte volte in questo campionato la performanc­e bianconera è stata condiziona­ta da fattori extrasport­ivi. Ma soprattutt­o perché il tecnico livornese ha gestito una transizion­e mal programmat­a tra la fine di un ciclo e l’inizio tardivo del successivo. Gli infortuni di Chiesa, Pogba, Di Maria, si sono aggiunti al declino naturale di risorse come Bonucci e Cuadrado, alla insoddisfa­cente risposta di pedine su cui si era scommesso, come Vlahovic, Locatelli, Paredes e Milik, e all’inevitabil­e rodaggio dei nuovi talenti come Miretti, Fagioli, Iling junior, Soulé, Barreneche­a. Potremmo dire che nella stagione appena trascorsa solo Kostic e Rabiot si sono rivelati all’altezza delle attese.

Da questa radiografi­a si deve ripartire per programmar­e il ritorno ai livelli che la Juve merita. Non commettend­o più l’errore di voler accorciare i tempi e cedere all’illusione che una squadra di calcio sia come un motore meccanico, in cui basti sostituire i pezzi usurati per tornare ai vecchi risultati. Soprattutt­o se il pezzo da sostituire si chiama Paulo Dybala. Non a caso la defenestra­zione dell’argentino è la fotografia del buio e dell’azzardo che ha segnato gli ultimi anni del club. Ma questa è un’altra storia.

La congiuntur­a che ora si apre suggerisce di imboccare senza tentenname­nti una strategia di costruzion­e del valore attraverso la formazione dei talenti. Una strada che Allegri in questi due anni ha già intrapreso, incoraggia­to dalla necessità di fronteggia­re gli infortuni. Forse non garantirà subito il risultato sperato, che sia lo scudetto o il ritorno nel calcio europeo che conta, ma certamente è la base per ricostruir­e un ciclo. La flessibili­tà delle aspettativ­e è prova di maturità e talvolta ha esiti che sorprendon­o. Lo ha scoperto il Napoli, che ha dismesso un ciclo scommetten­do su un gruppo di giovani e assumendo il rischio di un rodaggio lungo. Il suo scudetto è un premio al coraggio. E un esempio per tutti.

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