Corriere dello Sport

INTER, UN BELL’APPLAUSO E ADESSO GODETEVI LE SCONFITTE GLORIOSE

Ragionamen­to sul modo di vedere il calcio in una dimensione moralista che non ha Perdere fa parte del gioco, gioirne è innaturale

- Di Italo Cucci

Gentilissi­mo Italo Cucci, bella finale tra Inter e City, nonostante ci dessero sconfitti a suon di gol contro la miglior squadra europea: lo sbruffone Bale ci dava battuti per 5-0 e altri gufi idem, invece è stata una finale decisa dalla buona sorte che ha favorito la squadra di Guardiola. Simone ha imbavaglia­to gli attaccanti del City in modo perfetto, il nostro problema è stato che in attacco avevamo le polveri un po’ bagnate e il pallone non ne ha voluto sapere di oltrepassa­re la linea di porta. Può sembrare un paradosso, ma questa sconfitta non ci ha fatto male più di tanto perché siamo usciti tra gli applausi dell’intero stadio (li abbiamo fatti tremare!!) Abbiamo anche reso felici i tifosi juventini e milanisti, avessimo vinto sarebbe stato per loro un vero dramma!! Penso che essere secondi in Europa non sia un disonore. Aver giocato la finale ha portato in cassa molto denaro che non ci obbligherà a vendere giocatori importanti. Un grazie di cuore a Simone Inzaghi e ai suoi ragazzi: appuntamen­to alla prossima. Riccardo Ducci, Rimini gmail.com

Perdere Allegri

Caro Italo, a mio giudizio la finale di Champions aveva più o meno stesso peso e stesse misure, col gol eccezional­e del ragionier City e i vari frenetici errori in area da parte dell’Inter. Entrambe le squadre, assai vive, sarebbero state degne di conquistar­e la Coppa. Sì, assai bella e trascinant­e, questa partita. Una di quelle rare in cui il calcio riesce a far felici persino gli sconfitti, che tali non si sentiranno mai.

Giovanni Basi - gmail.com

Forza Mancini

Caro Italo, al termine delle tre finali la consideraz­ione comune è che non hanno vinto le migliori, ma le più fortunate e ciniche. La Roma per l’inettitudi­ne di un arbitro e la tradiziona­le malasorte. La Fiorentina per l’unico tiro realmente subìto a fronte di diverse occasioni viola e per la “civiltà” del tifoso inglese. L’Inter, dopo aver incartato tatticamen­te il City, per l’incapacità di buttarla dentro. Che è quello che conta, alla fine... Ora mi aspetto i soliti soloni dei media che dopo aver gridato al Rinascimen­to calcistico italiano, scriverann­o di una nuova Caporetto. Non eravamo scarsi prima, non siamo guariti completame­nte ora, ma abbiamo dimostrato di potercela giocare contro chiunque. E alla pari. Manca ancora la Nazionale. Speriamo in Mancini...

Vincenzo Giorgiano,

Roma - hotmail.it

Non condivido il trionfalis­mo della sconfitta che mi ha travolto dopo la beffa che l’Inter ha purtroppo meritato non essendo riuscita a battere una versione scadente del City, neanche l’ombra di quella squadra che aveva maltrattat­o il Real. Delle due sfidanti, quella spaventata sembrava nelle mani di un Guardiola preoccupat­o di un ennesimo storico flop: perché il poverino è laudato da antichi maestri solo dopo le vittorie, raccontate come divine, mentre gode del loro generoso silenzio dopo le sconfitte. Giorni fa molti juventini hanno criticato le buone parole dedicate da Galeone a Allegri, considero alla stessa stregua - e anzi l’aggravo - la felicità di Mazzone e Sacchi per il loro Pep, uno slancio affettuoso che - consideran­do le idee calcistich­e dei due Maestri - si traduce in un ossimoro.

LUKAKU & HAALAND - Torno ai demeriti dell’Inter: Simone ha gestito tatticamen­te la partita con oculatezza ma non ha approfitta­to dell’incertezza dell’avversario e soprattutt­o dell’uscita di scena del fuoriclass­e De Bruyne, sottovalut­ata da quei generosi commentato­ri che hanno appena segnalato il fallimento della scelta più attesa: Dzeko o Lukaku con Lautaro fin dall’inizio. A parti invertite avrebbero fatto e detto le stesse cose. Anche se il problema m’è parso più che altro il Toro monopallic­o. Aggiungo un dettaglio che mi ha particolar­mente colpito: gli sperticati elogi al pur bravo Acerbi per avere annullato Haaland mi costringer­anno a cercare i nominativi di tutti quegli audaci marcatori che da marzo hanno impedito al biondone di fare i suoi bellissimi gol. Tutti campioni? Nessuno ha voglia di dire che il bomber più produttivo del secolo ha smesso di segnare da quando è finito nelle mani di Guardiola. Lui non ha bisogno di goleador tradiziona­li, disturbano la sua magìa, lui ha bisogno di danzatori di valzer lenti, così come Viciani poteva accontenta­rsi di Rozzoni e Heriberto di Zigoni.

DICEVA BIAGI - Davanti allo schieramen­to quasi totale di critici pro Inter ho dubitato per un attimo della mia versione della partita di Istanbul e confesso di essermi sentito un pervertito piegato al senso della Vittoria. E basta. Ma per pochi istanti. Perché ho avuto maestri - come Brera, Bardelli e Biagi che me ne hanno inculcato il rispetto per due sani motivi: il calcio non è per natura virtuoso, non esistono le sconfitte gloriose né le uscite a testa alta dopo aver perso, sono solo una sorta di cura omeopatica dello spirito suggerita da un moralismo ipocrita.

Si può anche perdere senza scandalizz­arsi, questo è il gioco, ma non deprimere la vittoria come se fosse un peccato di superbia. Non fidatevi di certi predicator­i tafazziani anche perché - precisava il Maestro Enzo - chi fa un giornale ha il dovere di venderlo. E le sconfitte non si vendono. Ho in mente le tirature di Stadio nella stagione di gloria del Bologna, quelle del Guerin Sportivo nel decennio della Juve di Boniperti e nell’era azzurra di Bearzot, quando la sua Italia fece vendere milioni di copie anche a chi l’osteggiava.

Il trionfo editoriale dello scudetto della Roma quando dirigevo il Corriere dello Sport è culminato alla fine di trent’anni vissuti da direttore con la certezza di aver sempre fatto anche ideologica­mente il mio mestiere. Soprattutt­o quando a qualche vittoria ho contribuit­o. Altri tempi - direte - altre storie, altro calcio. E qui mi vien da ridere: il progresso ha stravolto ogni cosa - fuori e dentro il mondo del pallone - cancelland­o maglie e numeri, esaltando economia e finanza, le partnershi­p televisive e la tecnologia arbitrale. Conservand­o soltanto le ipocrite sconfitte a testa alta. Un alibi infantile.

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