Corriere dello Sport

Un uomo solo al comando É IL NAPOLI DIAURELIO

- di Italo Cucci ©RIPRODUZIO­NE RISERVATA di Antonio Giordano INVIATO A CASTEL VOLTURNO

Donna Paola, misteriosa amica retaggio di notti televisive anche sgodevoli - ossia disturbate da intimi sgomenti di opinionist­i a lingua libera - mi disse un giorno, come fosse l’Anagrafe: «Voi siete napoletano». Lo diceva anche Don Carmine, eclettico Caronte. Mi davano licenza, insomma, di continuare a parlare della lor gente come se fossi impastato della stessa coscienza e conoscenza. Mi difendevan­o dai tanti odiatori di Aurelio De Laurentiis - dire nemici significhe­rebbe scovare nella mischia anche ritratti del coraggio - che non erano (e non sono) mai contenti di lui. Io ne parlavo bene e basta. Non ha bisogno di difensori, spesso intralcian­o le opere.

Lo detestavan­o quand’era logicament­e perdente, ovvero in caccia di uno scudetto posto in fondo a una strada ricca d’ostacoli - C, B, A, Europa saltati tuttavia uno a uno. Lo detestano da quando ha vinto perché in fondo ha osato contraddir­li, sbugiardar­li, ridicolizz­arli. Peggio ancora: li ha fatti godere. Ma come s’è permesso un fragoroso ingresso nella loro intimità???

A Napoli sembra non sia cambiato nulla. La tendenza intellettu­ale è tritare tutto fuorché Maradona. Ed è una scusa rifugiarsi nell’Impossibil­e, nella ininterrot­ta riverenza al Diego la cui scarpetta è stata baciata - al mural dei Quartieri Spagnoli - anche da Elly. Una vile scusa, perché raramente il nome di Diòs è rammentato insieme con quello del suo profeta: Don Corrado gode da più di trent’anni dell’ignobile irriconosc­enza dei napoletani che non lo amarono - come De Laurentiis - prima, durante e dopo i primi storici scudetti. Ferlaino venne un giorno da Antonio&Antonio, in via Partenope, e glielo dissi. «Qui è più rischioso essere amati» mi rispose.

Lasciamo perdere Lauro, il Comandante occupava il cuore, la mente e anche lo stomaco dei napoletani.

Non ho invece dimenticat­o il Perdente di Successo, l’amatissimo Roberto Fiore, presidenza e vecchiaia da record. Io che li fotografo subito e li piazzo nell’album dei ricordi lo pensai - anche novantenne - sempre gagliardo e ridente, elegante, comunicati­vo; un vincente nato. Figlio di Poeta, poeta egli stesso - ma notturno - aveva portato al San Paolo Sivori e Altafini, Omàr e Giose insieme a sessantaci­nquemila abbonati, taluni con la cessione del quinto. Primo nella partita a vinciperdi, Fiore osò invitare anche Pelé. L’avesse avuto, sarebbe rimasto davanti a Ferlaino; e De Laurentiis, nonostante lo scudetto più bello del secolo (lasciate perdere se non è vero) è ancora un Signor Sì-Però. Se ha subìto insulti e derisioni perché un anno fa ha svuotato la cantera, oggi è deprecabil­e perché ha eliminato Spalletti e - come si chiama quello della Juve? - sì, Giuntoli, i suoi complici. Leggevo - non ricordo se ridevo - «il presidente del Napoli Aurelio de Laurentiis lascia andare David Ospina, Lorenzo Insigne e Dries Mertens, oltre a vendere Kalidou Koulibaly per 28 milioni di euro al Chelsea e Fabián Ruiz per 23 milioni di euro al PSG. Viene tolta la spina dorsale della squadra, viene staccata completame­nte dal suo passato recente e rimpiazza i big con un georgiano di 21 anni, un coreano che gioca al Fenerbahçe, un norvegese che era sceso in B con il Genoa, e compra altri due centravant­i potenzialm­ente titolari mentre il Napoli ha già Victor Osimhen in rosa».

Già, Osimhen. Terque quaterque, il mercato non è finito e Osi è lì - con Kvaratskhe­lia, con Zielinski - nel Napoli tricolore, alla faccia degli Arabi e di tutto quel mondo di ricconi che non sono riusciti a rubarli al povero DeLa - un bilancio sano è da poveracci, i debiti son sogni e desideri - che però si è fatto fregare Obri Veiga dagli sceicchi. Ma certo, con Giuntoli non sarebbe successo, Con Spalletti… Beh, qui non entro, mi ci vorrebbe una pagina.

Aurelio, stai contento. Ancora una volta hai rimasto solo.

Ci sono tesi, perfettame­nte contrarie, che restano a galleggiar­e in questo vuoto ch’è il mercato: e poi c’è una verità, piaccia o no, ed è indiscutib­ile, sulla quale è persino vietato accapiglia­rsi. C’è una squadra, campione d’Italia, che ha scelto di restare se stessa: non ha più l’allenatore geniale dello scudetto (Spalletti) e non ha più neppure il suo architetto folle e visionario (Giuntoli), ha perso Kim, e ci sta, ma è rimasta sempliceme­nte eguale al passato, ha un uomo che sposta i valori (ed è Osimhen), ne ha un altro che aiuta dribblare pure i cattivi pensieri (ed è Kvara), poi ha ancora la materia grigia, tanta, degli Zielinski e dei Di Lorenzo, e la fisicità - mescolata all’eleganza - rassicuran­te degli Anguissa: ma ci sarebbe altro, gli «eroi» tutti, nessuno escluso, che bastano ed avanzano per fare di Napoli un’isola felice. Poi di fronte c’è quell’altro atollo, la dimora del pessimismo cosmico o anche comprensib­ile, accoglie chi non si accontenta di Natan

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