Corriere dello Sport

Pozzecco portatore di sana umanità

- Di Cristiano Gatti

Niente da dire, Mancini è impeccabil­e, si presenta bene, sembra uscito dal Galateo di Monsignor Della Casa, mai una parola e un capello fuori posto. Per questo adorato e adulato dal bel mondo e dalla buona società, proprio gli stessi che adesso fingono di non conoscerlo.

Pozzecco no, Pozzecco è svitato e smodato, sbrocca come un portuale, capace che a tavola mangi il pollo con le mani. Via, i ct devono avere un loro stile, un loro portamento, una loro postura irreprensi­bile, fedele a tutte le convenzion­i, rispettosa di tutte le formalità, come si fa a difendere un Pozzecco che urla e bercia nei corridoi contro gli arbitri e che nella fase massima dello svalvolame­nto va tenuto a forza da quattro persone?

Senza tanti preamboli: scelgo Pozzecco. Naturalmen­te lui per primo sa di aver esagerato, ma noi per primi dobbiamo sapere che Pozzecco è Pozzecco. La sua storia di grande giocatore e poi di ct anticonven­zionale è lineare e coerente. Pozzecco esagera, viaggia sopra le righe, ha mille difetti, ma in mezzo a questi difetti mantiene un pregio impareggia­bile: è irrimediab­ilmente se stesso.

La mattina, quando si alza, non corre davanti allo specchio per mettersi la maschera: resta così com’è e va incontro al mondo così com’è. La spontaneit­à del suo modo d’essere lo porta a sbarellare, magari con due gocce di bromuro sarebbe perfetto, ma se queste due gocce finissero per cambiarlo, per renderlo uguale agli altri, così impegnati a piacere e a compiacere, non sarebbe più Pozzecco. Io scelgo Pozzecco perché di san umanità è uomo di passioni, di passioni sincere e irruenti, così forti da trascinarl­o spesso nel campo della follia.

Ma non c’è nemmeno bisogno di farglielo notare, lo riconosce lui stesso: «Ditemi che sono pazzo furioso. Che sono anormale. Ma prendeteve­la solo con me, lasciate stare la mia squadra e il mio staff».

Certo nel mondo del basket, dove il più trasandato sembra appena uscito da Harvard, un Pozzecco spicca. Lo si nota subito. Ma dopo tutto resta l’unico capace di portare sana umanità - l’imperfetta, fragilissi­ma, approssima­tiva umanità - negli ambienti più compassati e paludati del grande sport. Niente cerimonial­i, niente ipocrisie, niente giri di parole: con Pozzecco si va giù piatti e a Dio piacendo ognuno si assume le proprie responsabi­lità. Dopo l’ondata di sdegno e di censure che l’ha investito per lo sgangherat­o show post-espulsione contro la Repubblica Domenicana, questo ct non ci è venuto a dire «mi hanno trattato come Pacciani, il mostro di Firenze». Piuttosto, al suo presidente federale Petrucci, che aveva detto l’unica cosa da dire, «non devono più ripetersi certe scene», ha rivolto un semplice grazie: «Mi ha trattato come un figlio. Si dice che un allenatore è un uomo solo: io no».

Pozzecco lo si può esonerare, lo si può rimprovera­re, gli si può mettere la camicia di forza: ma non gli si può chiedere di cambiare. Non si chiede a una monaca di ballare la lap-dance, non si può pretendere che Pozzecco diventi Mancini: misurato, composto, convenzion­ale, con la risposta e l’onda dei capelli sempre a posto. La speranza piuttosto è che non cada mai in tentazione, che resti Pozzecco così com’è Pozzecco: il ct che esonda, che non si contiene e non si trattiene, ma che emana una commovente sincerità. Quel genere di ct - di uomo - che non rischiamo di scoprire patriota arabo dalla sera alla mattina.

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