Jannik felice: «Io non voglio guardarmi indietro»
Sinner a fine match stringe la mano a Botic Van de Zandschulp
Ha chiuso la sgambata dopo un’ora e ventisei con un dritto sulla riga piena, tanto per non alimentare false speranze. Da Melbourne a Rotterdam la connessione è rimasta perfetta, ultraveloce. Altro che Sanremo.
Jannik Sinner ha già fissato l’obiettivo dichiarato, salire al terzo posto del ranking mondiale che sarebbe storico per il tennis italiano, ed è partito senza distrarsi un secondo. Al povero ragazzo di casa, Botic van de Zandschulp, già freddato al primo turno in Australia, ha lasciato solo sei giochi .
«Ho giocato una partita solida, precisa - spiega alla fine con un commento sobrio -, mi serviva una strategia attenta perché lui è un tipo ostico, aggressivo. Contro Monfils sarà diverso perché ogni incontro va preparato in base alle caratteristiche dell’avversario. È stato bello tornare in campo, abbiamo lavorato tanto per essere pronti già a Rotterdam: è un torneo al quale sono molto legato, perché è stato uno dei primi a credere in me quando avevo 18 anni. Tornare qui da n.1 del seeding dopo aver cominciato con una wild card è una grande soddisfazione».
Braccia conserte, faccia serissima. Mentre parla, Sinner già pregusta i massaggi e la cena per poi tornare all’Arena e vincere la prossima. La gloria delle parole non lo tenta. Solo quando i tifosi olandesi lo omaggiano, si apre un po’ all’emozione: «È magnifico sapere che tante persone mi vogliono bene in tutto il mondo. Spero di poter giocare ancora bene nei prossimi giorni. La strada è lunga, non voglio guardarmi indietro. L’Australian Open, la Coppa Davis sono parte del passato. Io voglio solo continuare a competere in ogni situazione. Naturalmente certe vittorie ti danno fiducia, ma al contempo aumentano la pressione».
Invece di festeggiare il trionfo di Melbourne, si è dedicato all’allenamento proprio per non perdere la concentrazione. I risultati si vedono. «Io mi sento sempre la stessa persona. Ho condiviso bei momenti con la mia famiglia, con i miei genitori che non vedevo da un po’, e mi ha fatto bene. Il primo match poi è venuto molto naturale. Avevo preso le misure al campo nelle sessioni di allenamento, questa superficie è molto adatta a me, non ho avvertito particolari problemi. Ma posso ancora migliorare, soprattutto quando giocherò sulla terra che tradizionalmente mi fa soffrire di più. Anche sul servizio posso fare di più. Sono i dettagli che fanno la differenza». Mentalità.