Fabio Giacomo Cobianchi, Pieve Porto Morone (Pv)
Una “svolta inglese” la ricordo e ne chiesi spiegazione al Drake che gli inglesi non amava in assoluto, in particolare nel suo mondo. C’entrava anche l’antipatia “politica” ai tempi della Perfida Albione - che poi arrivava al disprezzo… automobilistico: perché Lui era un costruttore, loro solo assemblatori. E mi fermo ai box, ricordando piuttosto quanto rumore fece l’arrivo a Maranello, nel 1986, di John Barnard. Il Vecchio prima mi chiese di non rompergli le scatole poi prevalse la voglia di sfogarsi con qualcuno che non l’avrebbe tradito: «Appena le cose vanno male vengono fuori gli anglofili e io sa cosa gli dico? Volevate l’inglese? Eccolo. Godetevelo!». In sostanza era una scelta suggerita da Torino per ravvivare il mercato della Rossa.
In verità un inglese già l’aveva, nel 1981: dopo una stagione disastrosa, Ferrari aveva capito che il punto debole della Rossa era il telaio e chiamò a Maranello un giovane di scuola britannica, Harvey Postlethwaite, che partecipò alle progettazioni della 126 C2 e della 126 C3, arrivando a conquistare nell’82 e ‘83 due mondiali costruttori consecutivi. Poi venne la Ferrari 156/85, bella, forte, minacciata solo - racconta la storia - dalle turbine tedesche
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KKK. Che poi era quello che il Vecchio voleva si dicesse. Guai toccargli il motore. Io dirigevo “Autosprint” e lui, quando la Ferrari perdeva, mi diceva “è tutta colpa delle maledette KKK, lo scriva pure…”. A quel tempo ogni disgrazia era colpa delle KKK. Anche se Alboreto arrivò secondo dietro Prost. “Dietro”, una parola che Ferrari odiava e spiegava il concetto con quella battuta famosa: «Il secondo è solo il primo degli ultimi». Mi suggerì di usarla anche nel calcio. «Già fatto» - gli dissi. Però Harvey dovette andarsene per far luogo all’ antipatico Barnard. «Ingegnere - gli dissi - anche Postlethwaite è inglese…». «…ma è una persona perbene… mi aiuti a fargli un regalo… scriva per favore che è pronta la nuova Testarossa, una meraviglia firmata Postlethwaite…». Una bugia.
Una bugia anche dire ai giornalisti quanto fosse orgoglioso di avere conquistato, “quello della scocca di carbonio della McLaren”, la più forte rivale del Cavallino. Con Barnard fu vita dura, per caratteri e culture diversissime. Finchè nel 1989 arrivò la Ferrari 640. Aerodinamica eccezionale e cambio rivoluzionario. Che bella. Ma il Drake se n’era andato da un anno. A “disinglesizzare” la Ferrari ci avrebbe pensato nel ‘96 Montezemolo licenziando Barnard e riportando l’attività tecnica da Londra a Maranello.
Il lungo viaggio inglese mi porta finalmente a Hamilton. Cosa avrebbe detto Ferrari di quell’annuncio strepitoso? Sono sicuro: «Caro Cucci, è una scelta aziendale, fra mercato, immagine . Così vuole Torino… Così vuole Elkann…». Un’altra scusa, verrebbe voglia di dire “fumo negli occhi” ma noi vogliamo bene alla Ferrari, auguri amica Rossa. Però ho visto e sentito Leclerc e Sainz. Non so chi mi faccia più pena, dei due: il francese che di Hamilton dice “lo sapevo” o lo spagnolo che ci mette il cuore, “darò il duecento per cento”. Oddio, io non sono nessuno e allora uso le parole di Mauro Coppini, uno che se ne intende: «Leclerc e Sainz sono molto simili a due polli in una pentola bollente». Molto diversi dai manzoniani polli di Renzo che almeno si scuotevano e badavano “a beccarsi l’uno con l’altro, come accade troppo sovente tra compagni di sventura”.