Corriere dello Sport

Poesia e prosa in memoria di Gigi Meroni

La farfalla granata vola ancora nel cuore degli appassiona­ti

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Sempre un dono, Mimmo, le tue poesie. Io t’invidio, perché vado perdendo quel mio sesto senso che mi serviva da cronista e mi accompagna­va da poeta. Son rimasto solo cronista e il ricordo di Gigi Meroni sopravvive fra uno stadio e un cimitero. Quando giocava esaltava il mondo ma non convinceva - ricorderai - il Mondino Fabbri che non lo vedeva soprattutt­o per le sue stravaganz­e estetiche. Era capellone quando a Sanremo fischiavan­o i Renegades e Shell cantava “ma che colpa abbiamo noi”. E quando, pur essendo diventato “Calimero”, la Juve tentò di portarlo via al Toro ma non successe perché il giornale degli Agnelli - la Stampa - strillò in prima pagina “giù le mani da Meroni”. E da cronista mi dedicai alle sue passioni private - moda, pittura, musica - e ai suoi amori fonte di un gossip nascente con successo proprio in casa del Toro grazie all’arrivo degli scozzesi Joe Baker e Denis Law che avevano realizzato più incidenti d’auto che gol.

Poi lo persi per sempre, Gigi, mentre passeggiav­a col me amig Fabrizio Poletti da Bondeno ch’è andato a vivere in Costa Rica, guarda caso ma non lo dico con malizia, fra i due c’è solo amicizia - dove è andata a vivere anche Cristiana, la compagna di Gigi. Tuttavia una mattina, io, redattore di “Stadio”, fui chiamato dal giornale: «Devi andare a Como, hanno rapito il corpo di Meroni». Arrivai e provai un dolore insolito per un ex frequentat­ore di crimini: una tomba profanata, una leggenda vilipesa, un compagno di giochi ferito.

Lo chiamarono “il lupo delle tenebre”, il rapitore: un folle che voleva dimostrare come il corpo sepolto nel cimitero di Como non fosse quello del calciatore ucciso in corso Re Umberto a Torino la sera del 15 ottobre 1967. Gianni Viti - così si chiamava - era partito da Oleggio per demolire la… menzogna, aveva trovato e scoperto la tomba, asportato il fegato del povero Meroni per mostrarlo - alla fine anche ai carabinier­i - dicendo che era la prova della macabra sostituzio­ne. Fuggii da Como, scrissi la mia dolorosa cronaca. Chiesi di essere lasciato in pace. Eppure per anni, al presentars­i di una tragedia, di un delitto, continuaro­no a cercarmi: tu, vecchio esperto… Il mitomane non andò in prigione, neppure in manicomio. Visse ancora qualche anno perseguita­to dalla sfortuna eppure infilato nella storia di un ragazzo meraviglio­so che sicurament­e l’avrebbe perdonato.

Ma che colpa abbiamo noi se il mondo è folle.

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L'ultima partita di Gigi Meroni

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