Corriere dello Sport

Bologna e il Bologna cose dell’altro mondo

La squadra che gioca “quasi fosse in Paradiso“ripresenta la città delle tradizioni felici, di Lucio, di Gianni…

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Caro Cucci, non sono tifoso del Bologna ma lo ammiro per un motivo semplice: gioca al calcio come si giocava una volta, con quantità e qualità. Non voglio dire Motta come Bernardini, ma il Bologna solare di oggi somiglia molto a quello “da Paradiso” di ieri. Poi, come sanno divertirsi a Bologna col pallone, è l’unico stadio da quale esce allegria. Nel tempo, fra l’altro, oltre ai campioni del pallone lo stadio ospita anche i campioni della musica. Come Lucio Dalla…

Ettore Bussi, Piacenza - fastweb.it

Ai tempi del “Paradiso Football Club” di Fulvio Bernardini vivevo fra Rimini e Bologna e capitava a me, osservator­e rossoblù - in Romagna, quando tornavo a casa, o dappertutt­o quando incontravo bolognesi - esser salutato con l’invidiosa battuta “t’è vest un bel mond”. Qualche volta c’era anche l’appassiona­to ad oltranza che mi chiedeva “mi dici qualcosa del bel Bologna?” e io rispondevo come la bella ospite del “Gatto Nero” - il baladur sotto il cavalcavia di San Donato - quando dopo l’intervallo i ballerini le chiedevano “Signorina, permette un ballo?”. E lei: “Ban, a’ son què posta!”. Anch’io ero lì apposta a godermi un attimo di popolarità chiacchier­ando dei rossoblù, mentre avrei voluto scriverne su “Stadio” - il giornale del Bologna ma era materia della raffinata penna di Giulio C. Turrini. Dicono tutti che i bolognesi sono speciali perché si dividono fra calcio e basket e una volta, quando si giocava la domenica, finita la partita del Bologna allo Stadio tanti correvano al Palasport per la Virtus o la Fortitudo. Applausi. Io no, io dovevo andare al giornale a sgurarmi la serie C della quale ero titolare, però poi mi davo alla bella vita. Non al “Gatto nero”, ché ci voleva una forte cultura locale,

ma al “Cigno Bianco” di via della Pietra, più aperto, quasi borghese, dove si diceva che i buoni partiti della città andavano lì per trovare moglie se proprio la volevano bolognese verace. Io non ci credevo e dicevo “tutte fisime”. E invece ci sono felicement­e cascato. Per i nostalgici d’Bulagna segnalo che si ballava anche al “Drago Verde” in zona Ducati e al “Verde Luna” in via della Guardia.

NOSTALGIA -

Ecco, adesso non dite “i bolognesi sono nostalgici” creando pericolosi fraintendi­menti. E non equivocate se dico “sono conservato­ri” perché nel senso loro amano conservare solo quello che fa parte della tradizione cittadina, la cultura da Alma Mater e naturalmen­te i modi di vivere felici. E in questi giorni sentirete dire del calcio da Paradiso di Motta (una scelta intelligen­te come quella che portò Bernardini dalla Lazio al Bologna) così come del cantare rossoblù celebrato da Dino Sarti eppoi dai divi Morandi, Dalla, Carboni, Cremonini e Mingardi Blues. Io che posso dico che in verità il primo dei miei tempi fu Giorgio Consolini il cantante dei “Pompieri di Viggiù” e di “Son tutte belle le mamme del mondo”, una voce eterna - che mi donò la sua amicizia anche con qualche telefonata per dire «Hai visto che bel Bologna!», e lui pure, talvolta, «T’é vest un bel mond».

Avevo già cominciato a scrivere del Bologna e un giorno un amico di Remo Roveri - il cantore del pugilato - mi presentò un suo amico arbitro di boxe, Lionetti, che voleva chiedermi un favore: «Sto tirando su un ragazzo che canta alla grande, si chiama Gianni Morandi, sì, quello di “Fatti mandare dalla mamma”, e ha un desiderio, conoscere Ezio Pascutti». Fissammo un appuntamen­to. La storia l’ho già raccontata tante volte, ma ci son sempre lettori nuovi, e allora mi ripeto.

MORANDI - Arrivò, Gianni, ancora ragazzino, si muoveva come se ballasse il twist. S’era portato appresso un barbuto adolescent­e con un’aria da santino ma gli occhi da diavoletto. Si presentò: «Lucio Dalla». E qui chiudo con un nodo alla gola, rammentand­o soltanto che un giovedì li portai all’Antistadio a conoscere Ezio che li accolse felice. Lucio a un certo punto disse «Posso salutare anche Bulgarelli?». E Giacomo li rese felici. Conclusion­e: Bologna è un altro mondo.

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LAPRESSE Thiago Motta

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