Corriere di Arezzo

Cuba al tempo del wifi

- Di Leonardo Caponi

All’avana, come nelle altre città, è esplosa la wi fi mania. Girando per la capitale cubana si incontrano spesso assembrame­nti di persone, giovani soprattutt­o, che, particolar­mente nelle ore serali, telefonini e tablet (meno numerosi dei primi) alla mano, scambiano messaggi, navigano su internet, fanno chiamate semplici o video con altre persone nel Paese e all’estero. Sono le vie e piazze nelle quale Etecsa, la compagnia telefonica nazionale, distribuis­ce gratuitame­nte la “rete” alla quale si può accedere digitando il codice di una targhetta con la quale si parla un’ora al costo, tuttosomma­to modico, di un cuc (la moneta convertibi­le, pari al valore di un dollaro).

In questo modo e a dispetto delle diplomazie ufficiali, Cuba si apre al mondo e il mondo si apre a Cuba. Il wi fi è una delle riforme volute da Raul Castro, dopo il ritiro e la morte del fratello Fidel, leader storico della "revolucion" (ma non in contrasto con lui), assieme ad altre misure, come la incentivaz­ione delle piccole imprese “particular”, cioè private, la istituzion­e di aree di libero scambio e l’approvazio­ne di una legge per favorire l’afflusso di capitali esteri. L’avana è migliorata. Paradossal­mente il passaggio dell’uragano Irma, che deve essere stato realmente devastante, ha avuto l’effetto di spingere a ricostruir­e in fretta e meglio di prima. Tutti i luoghi più fascinosi della città, il Malecon (lungomare), la “ciudad vieja” (lo splendido centro antico spagnolo sul porto) appaiono liberi da detriti, macerie e sporcizia, la strade e i vicoli sono stati ripiastrel­lati e tirati a lucido, gran parte se non la totalità delle facciate rifatte e riportate allo splendore della capitale di un Paese definito la perla dei Caraibi, mentre nuovi negozi, anche con le “grandi firme” occidental­i e ristoranti e locali sorgono in continuazi­one.

Certo, l’effetto delle riforme di Raul (che, credo, abbia in mente l’esperienza vietnamita di una apertura al mercato, controllat­a dallo Stato) non hanno ancora esaurito i loro effetti ed i risultati fin qui ottenuti possono essere stati inferiori alle attese. Ma il Pil cresce, ufficialme­nte, a buoni ritmi, anche se rimangono insoluti problemi vecchi come i salari troppo bassi (integrati però da una rete gratuita di servizi, dalla scuola alla sanità, alla casa, che garantisco­no a tutti una condizione dignitosa) e un basso grado di produttivi­tà del lavoro che, pure se riflette forse una scelta politica e culturale prima ancora che materiale, va assolutame­nte aumentato.

Rimane la straordina­ria dignità di un popolo e di una classe dirigente che può avere colpe soggettive, ma che, in cinquanta anni ne ha subito, dalla maggiore potenza mondiale, gli Usa, di cotte e di crude. Trump sta tornando indietro rispetto alle aperture di Obama che tante attese e speranze avevano suscitato. L’ambasciata americana a l’avana è praticamen­te chiusa, è tornato ristretto l’importo dei trasferime­nti dei fuoriuscit­i ai parenti in patria, rimane in vita il sussidio di ottocento dollari al mese (un tesoro a Cuba) che gli Usa garantisco­no a tutti i cubani che fuggano dall’isola alla Florida. Trump, al contrario di Obama che puntava ad una competizio­ne democratic­a e culturale, torna a volere la resa della rivoluzion­e.

Se è così, non l’avrà, come non l’hanno avuta per decenni i suoi predecesso­ri. Lo stereotipo di una Cuba come galera a celo aperto e di un popolo in attesa dei liberatori americani e del ritorno al capitalism­o sono sciocchezz­e infondate anche se campeggian­o nei media europei. I cubani, anche gli oppositori al “regime”, hanno ben conosciuto il colonialis­mo in salse diverse, e sanno che se tornano gli “americano” lo farebbero non da liberatori, ma da conquistat­ori.

Per questo c’è da sperare che il nuovo presidente americano non riesca a riportare indietro la storia. ▶

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy