La mummia egizia di Narni: è lei l’aida di Giuseppe Verdi?
Nel museo della città umbra il sarcofago decorato di un sacerdote e il corpo di una nubiana che secondo alcuni (compreso Vittorio Sgarbi) potrebbero celare la vera storia della grande opera lirica
NARNI - Non c’è bisogno di arrivare fino a Torino se si vuole avere almeno un piccolo assaggio dell’arte egizia. Basta recarsi a Narni, una città ricca di esoterismo e leggende proprio come il capoluogo piemontese, che custodisce - all’insaputa del grande pubblico - due reperti dell’antico Egitto di particolare pregio.
Qui, in Umbria, il Museo della città e del territorio, ospitato a palazzo Eroli, conserva, infatti, un sarcofago e una mummia. Una mummia che Roberto Giacobbo, conduttore della trasmissione Voyager, ha definito tra le 10 più importanti al mondo perché si ritiene essere di un personaggio di un certo rilievo, visto che c’è chi la attribuisce alla donna che avrebbe ispirato niente di meno che l’opera verdiana dell’aida. La mummia fu trovata nell’area del tempio di Horus, ad Edfu, nel XIX secolo. Ed era ancora chiusa dentro il sarcofago. Entrambi i reperti giunsero a Narni nel 1920, portati da Edoardo Martinori (1834 -1935), celebre numismatico romano, collezionista, alpinista, pioniere dello sci e, soprattutto grande viaggiatore innamorato dei Paesi esotici. Martinori a Narni aveva acquistato un ex convento dei cappuccini che, dopo aver sottoposto ad interventi eccentrici (come la costruzione di un minareto che ancora oggi spicca sullo skyline della cittadina), lo aveva trasformato in una residenza piena di molti pezzi delle sue collezioni.
Che avvolto tra le bende ci sia realmente il corpo dell’aida, in verità, non c’è certezza; ma gli elementi che lo hanno fatto supporre - sostengono i fautori di quest’ipotesi - sono molti e hanno basi che possono essere ritenute credibili. Innanzitutto il sarcofago porta il nome del sacerdote Ramose del tempio di Horus, ma le bende nascondono un corpo che le analisi hanno accertato essere di una giovane donna nubiana, vissuta probabilmente attorno al II secolo avanti Cristo, malata di cisticercosi e morta, forse proprio per la presenza di un parassita nel suo corpo, attorno ai 25 anni di età. E, guarda caso, l’opera di Giuseppe Verdi racconta proprio dell’amore contrastato tra un egiziano di nome Radames (che potrebbe essere il Ramose del sarcofago) e una giovane etiope che furono sepolti insieme.
Poi, è certo che nel tempio di Horus di Edfu dove mummia e sarcofago furono ritrovati, lavorò a lungo l’archeologo Auguste Mariette, il francese fondatore del Museo Egizio de Il Cairo, che Edoardo Martinori sosteneva fosse lo scopritore di questi reperti. E, altra coincidenza, proprio Mariette (questa è una certezza storica) è anche l’autore del racconto che spinse Giuseppe Verdi e il librettista Antonio Ghislanzoni a scrivere e portare in scena i quattro atti dell’opera Aida. Ergo, Mariette - dopo aver tradotto i geroglifici riportati sul sarcofago ed essendo palese, per le sue decorazioni, che la mummia non fosse di un uomo - potrebbe aver romanzato una storia d’amore immaginando una sua versione dei fatti.
Gli ingredienti giusti, insomma, per ipotizzare un legame tra la mummia di Narni, il suo prezioso sarcofago e l’aida di Verdi sembrano esserci tutti davvero al punto che, nel 1996, se ne convinse perfino Vittorio Sgarbi. Sgarbi, all’epoca assessore alla cultura di
Una sepoltura avvenuta frettolosamente per una morte improvvisa e inaspettata
Il misterioso legame tra un uomo servitore del tempio di Edfu e una donna
I geroglifici con le formule magiche del Libro dei Morti e gli dei oscuri e della luce
Un eccentrico collezionista italiano amico dell’archeologo che ispirò il libretto
Milano, sapendo che la mummia si trovava a Torino per un restauro, la volle addirittura insieme ai costumi della prima Aida messa in scena da Franco Zeffirelli nel 1963 - al Palazzo Reale di Milano in una mostra dedicata all’apertura della stagione del Teatro alla Scala. Oggi mummia e sarcofago che risalgono all’epoca Tolemaica (305 - 30 a.c.) - si trovano al primo piano di palazzo Eroli, in un allestimento ancora provvisorio. Ma la precarietà dell’esposizione non pregiudica il valore della visita. Tra l’altro il viaggio fino a Narni è ripagato anche dal fatto che lo stesso museo ospita una pala del Ghirlandaio spettacolare.
La mummia è protetta da una teca di vetro. Il corpo della defunta fu bendato e decorato con la tecnica del cartonage che prevedeva l’impiego di foglie di papiro, modellate come la cartapesta, dipinte a mano. Spiccano così la maschera funeraria con il volto della donna; una collana; la dea del cielo Nut collocata al centro del petto e rappresentata mentre distende le braccia tenendo le piume di Maat; i quattro figli di Horus posti ai lati di un pilastro Djed; e un paio di eleganti sandali ai piedi. Il sarcofago è antropomorfo ed è esposto diviso nelle sue due parti (coperchio e cassa) e anch’esse mostrano, fuori e dentro, ricche decorazioni fatte di geroglifici e allegorie. Mancano solo gli occhi, tolti in epoche remote e presumibilmente realizzati in osso e bronzo. I geroglifici riportano, oltre che il nome del defunto al quale doveva essere inizialmente destinato (Ramose, sacerdote di Horus - il dio falco - del tempio di Edfu, figlio di Amenhotep, a sua volta figlio di Ij Ceru e della dama Tknhet), anche alcune formule magiche del Libro dei Morti. L’ipotesi è che la morte della donna sia avvenuta all’improvviso e che il sarcofago le sia stato donato, presumibilmente dallo stesso Ramose, per darne una rapida e degna sepoltura. La circostanza di un accadimento improvviso è suffragata anche dal fatto che la mummificazione sarebbe avvenuta frettolosamente, tant’è che sul sarcofago sono state trovate tracce dei materiali usati per la mummificazione come se queste fossero colati, ancora freschi, dalla salma poggiata sopra al sarcofago. E chissà, forse ci fu la fretta di nascondere davvero un amore che sarebbe dovuto rimanere segreto.